PAOLO VI E’ SANTO
Paolo VI, ha fatto notare papa Francesco nella
cerimonia della sua canonizzazione il 14 ottobre scorso,
“anche nella fatica e in mezzo alle incomprensioni, ha testimoniato in modo
appassionato la bellezza e la gioia di seguire Gesù totalmente.
Oggi ci esorta ancora, insieme al Concilio di cui è stato il sapiente
timoniere, a vivere la nostra comune vocazione:
la vocazione universale alla santità. Non alle mezze misure, ma alla
santità”.
Del grande Paolo VI, definito da molti studiosi come il papa della modernità, resta vivo in tutti noi l’appello alle brigate rosse che scrisse per la liberazione di Aldo Moro; mi piace proporlo per evidenziare il suo enorme senso di umanità che ha caratterizzato tutto il suo pontificato: “Lo scrivo a voi, uomini delle Brigate Rosse, restituite alla libertà, alla sua famiglia, alla vita civile, l'onorevole Aldo Moro [...] Io non ho alcun mandato nei suoi confronti, né sono legato da alcun interesse privato verso di lui. Ma lo amo come membro della grande famiglia umana, come amico di studi, e a titolo tutto particolare, come fratello di fede e come figlio della Chiesa di Cristo. [...] vi prego in ginocchio, liberate l'onorevole Moro, semplicemente, senza condizioni, non tanto per motivo della mia umile e affettuosa intercessione, ma in virtù della sua dignità di comune fratello in umanità”. Molti, compreso il sottoscritto, lo considerano un grande Papa soprattutto per queste tre caratteristiche personali: aver portato a compimento il Concilio Vaticano II partecipandovi attivamente, aver accettato il confronto con la modernità e aver viaggiato, come primo Papa, mezzo mondo per incontrare popoli e culture (ha visitato diciotto Paesi e due dipendenze). Inoltre, fu il primo Pontefice a tenere un discorso alle Nazioni Unite e a viaggiare in Terra Santa. Subito dopo la sua elezione al Soglio pontificio, manifestò l’intenzione di far proseguire lo svolgimento dei lavori conciliari cui poi partecipò con notevole impegno personale. Questa sua decisione non fu per niente scontata in alcuni ambienti vaticani, anzi, fu avversata da molti personaggi che gli erano accanto. Ma Egli, avendo deciso di porre la propria attenzione sull’uomo contemporaneo e avvertendo la crisi d’identità che travagliava la Chiesa, sentì con forza la necessità di proseguire il Concilio essendo certo che solo in quell’ambiente - che rappresentava tutta la base ecclesiale - si poteva trovare la soluzione per adeguare la Chiesa alla modernità e alle nuove esigenze delle comunità cattoliche. Per Paolo VI aver accettato la cultura del presente, significò aprirsi al mondo recuperando la dimensione storica del cristianesimo e quindi cambiare atteggiamenti e mentalità tradizionali. “Dobbiamo abituarci a pensare in maniera nuova l’uomo; in maniera nuova anche la vita in comune degli uomini; in maniera nuova infine le vie della storia e i destini del mondo” (Discorso all’Assemblea ONU del 4 ottobre 1965). Anche e soprattutto i numerosi viaggi per il mondo hanno contribuito a far sì che il Magistero di papa Montini potesse essere recepito, nella sua concezione antropologica, come elaborazione delle risposte alle domande che da sempre si affacciano nel cuore degli uomini e sulle quali si è interrogata ogni scuola di pensiero. Sulle tematiche antropologiche e sui problemi dell’uomo analizzati da Paolo VI si possono ritrovare credenti e non credenti. Così ne ha colto la sua modernità Carlo Maria Martini: “Come poche persone del nostro tempo, Paolo VI è riuscito a risvegliare nell’uomo d’oggi il brivido del mistero, lo stupore per l’eccezionalità, l’unicità, l’assolutezza della figura di Cristo, il senso delle realtà sovrumane contenute nell’umanissima vita della Chiesa; ma ha fatto tutto questo impiegando le potenzialità, le sfumature, le risorse e anche le sconfitte, le opacità, le ritrosie del linguaggio, della sensibilità, della mentalità, della cultura dell’uomo d’oggi. È stato un credente e un maestro della fede, che ha parlato non solo all’uomo d’oggi, ma da uomo d’oggi. È stata così limpida e matura la sua fede che è riuscita a esprimersi anche nell’età e nella cultura dell’incredulità, della secolarizzazione, dell’uomo maggiorenne, fiero del proprio progresso o disperato per la propria solitudine. Ed è stata così interiore, personalizzata, criticamente sofferta la sua assimilazione della cultura contemporanea, da permettergli di scoprire in essa le nostalgie, le contraddizioni, le brecce segrete, attraverso le quali aprirsi all’annuncio della fede”. Papa Francesco ha proclamato santo Paolo VI il 14 ottobre 2018, durante il Sinodo dei vescovi sui giovani. Una scelta non casuale, giacché proprio alle nuove generazioni Paolo VI aveva dedicato uno dei messaggi conclusivi del Concilio Vaticano II, dando il via alle Giornate della Gioventù che hanno avuto poi grande riscontro nel pontificato di Giovanni Paolo II. Alla figura di Giovanni Battista Montini e al suo Pontificato, il Papa nella cerimonia in San Pietro ha dedicato queste parole speciali: “Santo Paolo VI scrisse: È nel cuore delle loro angosce che i nostri contemporanei hanno bisogno di conoscere la gioia di sentire il suo canto. Gesù oggi ci invita a ritornare alle sorgenti della gioia che sono l'incontro con lui, la scelta coraggiosa del rischiare per seguirlo, il gusto del lasciare qualcosa per abbracciare la sua via. I santi hanno percorso questo cammino. Lo ha fatto Paolo VI sull' esempio dell’apostolo del quale assunse il nome. Come lui ha speso la vita per il Vangelo di Cristo, valicando nuovi confini e facendosi suo testimone nell’annuncio e nel dialogo, profeta di una Chiesa estroversa che guarda ai lontani e si prende cura dei poveri. Paolo VI anche nella fatica e in mezzo alle incomprensioni ha testimoniato in modo appassionato la bellezza e la gioia di seguire Gesù totalmente. Oggi ci esorta ancora insieme al Concilio di cui è stato il sapiente timoniere a vivere le nostre comune vocazione, la vocazione universale alla santità”. Gian Paolo Di Raimondo – 1 dicembre 2018
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