IL CULTO DEI MORTI
“Oggi vorrei mettere a confronto la speranza cristiana con la realtà della morte, una realtà che la nostra civiltà moderna tende sempre più a cancellare. Così, quando la morte arriva, per chi ci sta vicino o per noi stessi, ci troviamo impreparati, privi anche di un “alfabeto” adatto per abbozzare parole di senso intorno al suo mistero, che comunque rimane. Eppure i primi segni di civilizzazione umana sono transitati proprio attraverso questo enigma. Potremmo dire che l’uomo è nato con il culto dei morti”.
(Papa Francesco - Udienza generale Piazza S. Pietro - 18 ottobre 2017)
“La civiltà dei popoli si riconosce dal culto dei morti” (Ugo Foscolo)
Da tempo desideravo scrivere sul culto dei morti che gli esseri umani hanno sempre praticato fin dall’antichità. Oggi lo voglio fare in concomitanza alla nostra commemorazione dei defunti. Quello che, purtroppo, dobbiamo notare è che, come in altri campi della convivenza civile, anche in questo le tradizioni più legate ai vincoli affettivi si stanno affievolendo. Solo nei piccoli centri e nelle classi sociali meno abbienti ancora è attuata la prassi di mantenere vivo il rapporto con le persone care anche dopo la loro naturale dipartita. Ma nella maggioranza delle città e della popolazione questa antica consuetudine sta scomparendo. Personalmente mi è sempre caro il ricordo di quando con la mamma e qualche altro familiare una o due volte al mese ci rechevamo al cimitero per recitare una preghiera insieme, portare fiori e dedicare qualche minuto a far rivivere con il pensiero il tempo più bello trascorso con i nonni. Oggi quasi mai le mie figlie vengono al cimitero con noi – mia moglie ed io – e, di conseguenza pure i nipoti. Purtroppo anche la mia famiglia, come le altre che vivono a Roma, hanno qualche giustificazione a non frequentare i cimiteri visto lo stato di degrado di come sono ridotti. Vedere per credere:
“https://drive.google.com/open?id=1S-rwjSCZ7qHOZcPD9XSvDqDMEoY-gNrp” … e ancora,
“https://www.ilmessaggero.it/video/roma/cimitero_flaminio_edifici_chiusi_degrado-4719667.html”.
C’è veramente da rimanere sbalorditi da questa situazione. Qulache giorno fa ho letto una lettera pubblicata su Il Messaggero in cui un lettore raccontava che nel corso di una telefonata di protesta ai Servizi cimiteriali per la mancanza di acqua al Cimitero Flaminio, si è sentito rispondere: “ma che i morti bevono?”; il cittadino romano, oltre al disservizio, deve subire pure la beffa di avere un rapporto poco serio con le istituzioni che dovrebbero assisterlo. Altro che culto dei morti, qui si tratta di vera e propria carenza di educazione civica.
Prima di continuare ad analizzare gli elementi della vita attuale che ci hanno indotto a ridurre drasticamente il rapporto con i nostri defunti, spiritualmente con la preghiera, ma soprattutto materialmente con la frequentazione dei cimiteri, penso sia utile dare un’occhiata alla storia del culto dei morti nei popoli che ci hanno preceduto e hanno aperto la strada alla nostra cultura, quello egiziano, greco, etrusco e romano.
Gli Egizi credevano che l'uomo nascesse con due anime: il Ba e il Ka; il Ba era destinato ad effettuare il viaggio verso l'aldilà, dove riceveva il premio o la punizione che le spettava; il Ka era destinato a rimanere con il corpo e a custodirlo nella tomba. finché duravano i viveri. Gli Egizi, infatti, pensavano che dopo la morte ci fosse un'altra vita: per questo motivo mummificavano i corpi dei faraoni per permettere al morto di conservare per lungo tempo il corpo nella vita dell'aldilà e quindi permettergli la sopravvivenza. Nelle tombe mettevano cibi, vesti e cosmetici, ritratti del defunto e una specie di cofanetto in pietra con incisa una porta per permettere al defunto di andare dal mondo dei vivi a quello dei morti.
Anche gli antichi greci avevano distinto il corpo dall’anima per dare una giustificazione alla morte. Relativamente al concetto di corpo e anima, c’è da dire che per la religione greca, l’uomo è composto da due parti: un corpo mortale ed una parte immortale, chiamata eidolon (aspetto vitale). L’eidolon, chiuso nella tomba o prigione del corpo, doveva purificarsi per essere degno di una vita felice nei campi Elisi. Questo concetto è arrivato fino ai nostri giorni, è infatti presente in molte religioni importanti.
Altro riferimento storico è rappresentato dalla civiltà etrusca che, dai ritrovamenti delle tombe tutt’ora visitabili, dava ai propri defunti particolare attenzione e cura.
Certamente gli Etruschi ebbero un profondo culto dei propri defunti, ma non solo questo: il rispetto per essi, il desiderio di rappresentare le tombe come le dimore per l'eternità, la perfetta sistemazione delle aree funerarie e lo stesso orientamento delle aperture dei sepolcri, rientrano in un più vasto ambito sacrale e religioso. Nei tempi più antichi gli etruschi credevano ad una qualche forma di sopravvivenza terrena del defunto. Da ciò nasceva l'esigenza, come forma rispettosa di omaggio, di garantirne la sepoltura e di dotarla di richiami al mondo dei viventi. La tomba veniva così costruita nell'aspetto della casa e dotata di suppellettili e arredi, veri o riprodotti in miniature. Alcuni ritrovamenti di parti di testi religiosi riguardanti cerimonie funebri, ci permettono di farci un'idea di quanta attenzione dovesse essere data dagli Etruschi a questo rituale.
E infine anche i Latini avevano particolare cura dei propri defunti.
Per i Romani, nell’età più antica, la rappresentazione della morte si identificava con Mors, una figura astratta degli indigitamenta, più tardi personificata nella figura di Orcus. Il credere di divinità dell’oltretomba era strettamente connesso col ritenere che l’anima sopravvivesse alla morte del corpo. Secondo gli antichi, infatti, quando la vita si spegneva, l’anima usciva liberandosi e discendeva nell’oltretomba, ossia nel regno di Ade; alle anime veniva poi consentito di tornare sul mondo dei viventi. Da tutto ciò scaturiva la necessità di un culto dei morti comprendente una serie di riti e preghiere che accompagnavano i defunti. Secondo il pensiero più antico le anime, liberate dal corpo, si tramutavano in essenze divine, i Manes (Mani), che con la loro presenza rendevano sacro il luogo dove il defunto era sepolto. Gli dei Manes nel periodo arcaico furono intesi sia come forze animistiche, membri spirituali della comunità familiare alla quale erano appartenuti in vita, sia comunità a parte privi di un carattere personale.
E ora veniamo alla situazione che stiamo vivendo in merito all’intero grande problema della morte. Non è semplice analizzare le cause che ci hanno portato alla mutazione della cultura con cui ci rapportiamo con essa, dalla sepoltura, al lutto, al rito di recarsi al cimitero. Molteplici sono infatti le esigenze della vita sociale attuale e enorme è l’evoluzione dell’atteggiamento nei confronti del morire e della morte da rendere quasi impossibile trovare l’elemento che principalmente abbia causato tale cambiamento. Io qui mi limiterò a fotografare la situazione attuale e quello che ci possiamo aspettare nel futuro. I riti della sepoltura non sono più quelli di cinquant’anni fa, si è passati dalla sepoltura in terra a quella in bruttissimi palazzoni dei morti o alla cremazione e sono scomparsi quasi totalmente gli aspetti esteriori del lutto. Ma, soprattutto, come accennavo prima è venuto meno il rito di recarsi al cimitero frequentati ormai da poche persone anziane e qualche mariuolo che ne ha fatto un luogo di lavoro. Nel nostro mondo industrializzato anche il rito funebre è diventato un fatto commerciale: si vendono “pacchetti tutto compreso”, dalla preparazione della salma e della camera ardente alla sepoltura e stampa del ricordino, il tutto offerto con ampia varietà di tipologia e ovviamento di costo. Così, anche la morte che è uguale per tutti, si è riusciti a differenziarla a secondo delle disponibilità economiche. Di questo passo dove arriveremo? Alcuni ipotizzano che in un futuro non lontano, la diffusione dell’uso dei social network oggi già potenziali tombe, costituiranno i prossimi “cimiteri virtuali”. Così sarà possibile fare visita ai nostri cari defunti senza alzarsi dalla sedia del computer. Non so a voi, a me questa prospettiva mi fa inorridire.
Gian Paolo Di Raimondo - 2 novembre 2019