UN GRANDE UOMO DELLA CHIESA
Carlo Maria Martini ci ha lasciati per andare al Padre. Il cardinale, nell’Aloisianum, la casa dei gesuiti di Gallarate dove viveva e dove è morto venerdì 31 agosto scorso, così come nell’altra casa di Galloro (Ariccia) sua residenza nei periodi in cui non dimorava a Gerusalemme, amava farsi chiamare semplicemente padre Martini (sul campanello aveva voluto scritto “p. Martini”) rifiutando ogni sontuosità della sua posizione di principe della Chiesa. Anche questo particolare ci aiuta a delineare il personaggio schivo di qualsiasi formalismo ma solo dedito, in termini spirituali ma anche pratici, alla tangibile cura di tutte le persone che hanno vissuto insieme a lui l’attuale particolare momento storico. Indro Montanelli così lo accolse a Milano: “Ci dicono che Sua Eccellenza è abituato a parlare con i laici, e ha per essi molta simpatia. Gliela ricambiamo di cuore”. In tutta la sua vita, sia quella spesa per gli studi che lo condussero ad essere considerato un autorevole biblista, che quella impegnata nell’attività pastorale di arcivescovo di Milano, fu sempre coerente con i due principi che hanno rappresentato per lui il fulcro dell’“essere cristiano”. Per primo, amare intensamente la Sacra Scrittura e farne la luce della sua vita, come ha ricordato nel messaggio per il suo funerale papa Ratzinger. A seguire, l’essere fedele sempre al suo motto episcopale “De veritate adversa deligere”, un’affermazione che suona molto ratzingeriana: “Per la verità scegliere le avversità”. Non ha mai rinunciato alla propria visione del cristianesimo, né ha modificato l’atteggiamento caritatevole nei confronti della società anche in presenza delle avversità spesso incontrate. Si è interessato alle esigenze spirituali e materiali delle persone, con particolare attenzione ai poveri (come aver condiviso i temi cari alla Chiesa sudamericana). Ha attuato, per quanto nelle sue prerogative, il dialogo interreligioso, ha difeso ad oltranza le aperture del Vaticano II, tanto da richiederne un terzo per fare un ulteriore passo avanti sulla strada da questi tracciata , ed ha anche affrontato alcuni problemi etici senza pregiudizi. Lo ha detto bene il cardinale Scola nell’omelia ai suoi funerali “Nella Chiesa le diversità di temperamento e di sensibilità, come le diverse letture delle urgenze del tempo, esprimono la legge della comunione: la pluriformità nell’unità. Questa legge scaturisce da un atteggiamento agostiniano molto caro al cardinale: chi ha trovato Cristo, proprio perché certo della Sua presenza, continua, indomito, a cercare”. Martini, infatti, ha continuato per tutta la sua vita “a cercare”, lasciandosi provocare da tutti gli interrogativi delle persone comuni, tenendo costantemente presenti le conquiste della scienza e i mutamenti del nostro tempo. Non l’intera comunità cattolica, anche ai massimi livelli gerarchici della Chiesa, condivide il pensiero che è stato per il cardinale Martini alla base del suo credo: non perdere mai di vista i mutamenti della società civile provocati soprattutto dell’evoluzione della scienza ed accettare il dialogo costante con tutti senza escludere nessuno. Il cardinale Ruini - considerato da molti il suo alter ego - pur asserendo di non aver mai polemizzato direttamente con il suo collega, lo ha fatto indirettamente enunciando la sua differente visione del ruolo della Chiesa, sia nel suo testamento (il libro “Intervista su Dio. Le parole della fede, il cammino della ragione” - Mondadori -), sia in varie interviste giornalistiche. Recentemente ha pure dichiarato che “danni molto gravi” per la Chiesa sono derivati da una mal comprensione delle aperture del Concilio Vaticano II, soprattutto che il più stretto rapporto auspicato tra i vescovi e il Papa abbia causato il fatto che “Il magistero della Chiesa è stato messo in discussione e spesso disatteso anche all’interno della Chiesa stessa”. Tutto ciò in palese contrasto con il pensiero di Martini sul Concilio. Niente di strano o censurabile: si tratta della libera espressione delle diverse anime della Chiesa. Io mi schiero con il cardinale Martini a difesa del Vaticano II e delle sue aperture, essendo certo che i guai attuali della Chiesa non siano stati causati dal Concilio. Non dimentichiamoci mai cosa disse Gesù: “dove due o tre saranno riuniti nel mio nome, io sarò con loro”. I padri conciliari riuniti in San Pietro in nome del Signore erano 2.540, possiamo dire che non furono assistiti da Gesù Cristo? Sono certo che in questo mese, nelle celebrazioni del cinquantenario di tale grande evento, la comunità cattolica sarà unanime nel giudicare realizzate, almeno in parte, le speranze che si augurava Paolo VI alla sua chiusura: “Così noi speriamo al termine di questo Concilio ecumenico vaticano secondo e all’inizio del rinnovamento umano e religioso, ch’esso s’è prefisso di studiare e di promuovere; così speriamo per noi, Fratelli e Padri del Concilio medesimo; così speriamo per l’umanità intera, che qui abbiamo imparato ad amare di più ed a meglio servire”. Non è possibile concludere questo personale breve ricordo di Martini senza rievocare il suo atteggiamento nei confronti della morte, i suoi timori assolutamente umani che la sofferenza diventasse insopportabile durante il tempo che precede il momento del trapasso. Con estrema coerenza ha messo in atto il suo pensiero sulla morte quando lo ha vissuto sulla sua persona, quando ha abbandonato la speranza di prosecuzione della vita nonostante tutto, si è arreso alla volontà di Dio. Nelle ultime ventiquattro ore ha voluto accanto a sé le persone più care che gli hanno tenuto a turno la mano, e quando “non ce l’hai fatta più, hai chiesto di essere addormentato. Così una dottoressa con due occhi chiari e limpidi, una esperta di cure che accompagnano alla morte, ti ha sedato”. Così ha raccontato la nipote Giulia Facchini Martini nella sua lettera allo zio, pubblicata dal “Corriere della Sera”. L’accompagnamento alla morte di un congiunto che si ama rappresenta un “momento di ricchezza e di pace profonda” e, data la fragilità umana che si manifesta in tutta la sua natura nel momento del grande passaggio, sono certo allevi molto il terribile tempo dell’agonia. Mi tornano in mente le parole di Gesù: "Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà". Perfino Dio, nella sua natura umana, ha avuto paura del passaggio. Martini non ha mai cambiato idea sul “fine vita” e al diritto di rinunciare a terapie che liberamente valutiamo sproporzionate e inutili rispetto al beneficio che possiamo trarne. Fin dal momento della scomparsa di Piergiorgio Welby scrisse in un lungo intervento sul “Sole 24 Ore”: “La crescente capacità terapeutica della medicina consente di protrarre la vita pure in condizioni un tempo impensabili. Senz’altro il progresso medico è assai positivo. Ma nello stesso tempo le nuove tecnologie che permettono interventi sempre più efficaci sul corpo umano richiedono un supplemento di saggezza per non prolungare i trattamenti quando ormai non giovano più alla persona”. Questo ragionamento, con estrema coerenza, lo ha fatto suo anche quando si doveva applicare a se stesso. Chiudo ricordando che pochi giorni prima di morire, quasi volesse lasciare il suo testamento, in un’intervista alla Bbc disse: “la brace della Chiesa, cioè lo spirito che deve pervaderla e la fede che deve alimentarla, sono ricoperte da uno strato di cenere il cui spessore è tale da spegnere quella brace. Il compito dei cristiani è di liberare il braciere da quella cenere per vedere di nuovo il fuoco della fede”. Speriamo che venga ascoltato.
Gian Paolo Di Raimondo
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Roma, 1 ottobre 2012