Nel giro di qualche
mese, prima Benedetto XVI alla fine di febbraio e poi Giorgio Napolitano
a metà maggio di quest’anno, i due grandi vecchi che hanno rappresentato
la Chiesa e la Repubblica Italiana negli ultimi anni, ci lasceranno.
Potrebbe essere utile fermarci un attimo, pertanto, per fare un breve
consuntivo del loro operato di Capi di Stato e individuare i motivi che
li hanno uniti in una sincera comunità d’intenti nel perseguire il bene
comune facendoli rispettare e amare dal popolo. Ovviamente limiterò la
mia breve analisi, per quanto riguarda il Papa, all’aspetto della sua
funzione laica di Capo della Chiesa evitando scrupolosamente di entrare
nella sfera religiosa di successore di Pietro.
Una prima annotazione è d’obbligo: i due hanno dichiarato ufficialmente
in diverse occasioni
"la sintonia, la
stima e l'amicizia" che li legava. Anche nell’ultimo incontro del 4
febbraio scorso si sono scambiati messaggi affettuosi e anche gesti che,
a volte, sono molto più espressivi delle parole. Il Papa ha posato la
mano sulla spalla di Napolitano, un gesto che esprime un livello di
amicizia particolare consolidatasi nel tempo durante la storia delle
relazioni intercorse negli ultimi anni. Anche le parole che si sono
scambiate nel reciproco indirizzo di saluto indicano la cordialità del
loro rapporto. Il Presidente Napolitano ha ricordato gli incontri avuti
con il Papa nei quali “molto mi ha arricchito il dialogo che
abbiamo potuto intrattenere: sull’Italia, sull’Europa, sulla pace e
sulle radici ideali e morali dell’impegno politico”. Papa Benedetto
ha risposto con parole altrettanto affettuose riferendosi anch’egli agli
anni del loro impegno istituzionale “ci siamo incontrati più volte,
abbiamo condiviso espressioni e riflessioni”.
Qualche giorno dopo il colloquio privato del 4 febbraio nella saletta al
lato dell’Aula Nervi dove si celebrava con un concerto
l’ottantaquattresimo anniversario dei Patti Lateranensi, Benedetto XVI
l’11 febbraio ha comunicato ai Cardinali in concistoro, usando la lingua
latina, la sua intenzione di lasciare il Pontificato il 28 febbraio. La
notizia shock ha fatto il giro del mondo in pochi minuti ed ha raggiunto
il Presidente nel salone dei Corazzieri al Quirinale, dove si celebrava
la Giornata del Ricordo, per non dimenticare la barbarie delle foibe. E
Napolitano così commentava - a caldo - la notizia del secolo: “E’
stato un gesto di grande coraggio e straordinario senso di
responsabilità”. La sera, poi, allo speciale che Raiuno ha dedicato
alle dimissioni del Papa, ricordando l’incontro di qualche giorno prima,
ripeteva: “Ho avuto l’impressione di una persona molto affaticata,
molto provata. E poi, quando papa Benedetto XVI nella Sala Nervi mi ha
affettuosamente salutato, ponendomi la mano sulla spalla e quasi
abbracciandomi, pensavo che fossi solo io prossimo a partire … e invece
era prossimo a partire anche lui …”.
Ripercorrendo il
settennato del Presidente Napolitano e gli otto anni in cui papa
Benedetto ha retto la Cattedra di Pietro, si possono notare notevoli
convergenze sulla propensione al riformismo dei due coetanei. Napolitano
in alcuni casi è stato addirittura criticato aspramente per aver
interpretato in senso estensivo il suo ruolo costituzionale attraverso
interventi di moral suasion sia sul Governo sia sul Parlamento.
Ha sempre svolto il suo ruolo di garante della Costituzione in modo
intelligente e moderno coerentemente con la rapida evoluzione dei tempi
in cui viviamo.
Più volte anche il Papa, prima e dopo l’elezione ha sostenuto di non
essere un rivoluzionario, ma un riformista. Una simile affermazione
sembra essere un controsenso giacché dal 1980 è consuetudine considerare
Ratzinger uomo di conservazione, ma non è così. Raimon Panikkar,
certamente non un “conservatore”, così dice di Joseph Ratzinger: “Io
ne ho una grande stima … Apprezzo molto la passione e l’intelligenza con
le quali Benedetto XVI ha messo al centro del suo pontificato il
rimprovero alla modernità di aver dimenticato la dimensione del Divino e
di aver ridotto l’esistenza umana ad un materialismo piatto, senza
speranza e senza gioia”. Forse è pure il caso di ricordare che il
giovane Ratzinger, teologo già noto, fu presente al Concilio Vaticano II
(1962 – 1965), quale “esperto” del cardinale Joseph Frings arcivescovo
di Colonia ed una delle punte del “progressismo” conciliare, collega di
teologi come Karl Rahner ed Hans Küng. Quindi voglio ribadire, come
Panikkar, che salvo l’aver teso la mano conciliante agli scismatici
lefebvriani, azione peraltro miseramente fallita, parole e fatti
mostrano che il Concilio sia stato la “stella polare” del programma di
papa Benedetto XVI.
A questo punto è
necessario soffermarsi sul vero significato di laicità e sul delicato
rapporto tra Stato e Chiesa che i due grandi “vecchi” hanno perseguito.
Mi piace a questo proposito ricordare il messaggio del Papa in occasione
delle celebrazioni del centocinquantesimo anniversario dell’unità
d’Italia. Poteva trattarsi di un messaggio cordiale, formale, invece è
stato fatto con parole impegnative e anche con un suo giudizio storico.
Il Presidente Napolitano lo ha giudicato una chiara dimostrazione di
come “in Italia lo Stato e la Chiesa, il popolo della Repubblica e il
popolo della Chiesa, siano così profondamente uniti”.
Per finire voglio
tornare all’evento epocale delle dimissioni del Santo Padre nella data
del 28 febbraio. Anche questo straordinario gesto dimostra la grandezza
dell’uomo che non ha voluto che l’età avanzata e la conseguente
difficoltà a superare le fatiche di ogni giorno, potessero condurlo a
vivere l’ultimo periodo da Papa ove altri conducessero in sua vece e a
suo nome la Chiesa in un periodo di difficoltà particolare per le sue
divisioni e conflittualità interne più volte denunciate. D’altra parte
lui aveva vissuto, essendone coinvolto direttamente, l’ultimo drammatico
periodo di vita di Giovanni Paolo II. Che le sue condizioni fisiche
fossero precarie sono comprovate anche dal suo biografo, Peter Seewald,
che così ricorda il suo ultimo incontro con il Papa:
"Il
nostro ultimo incontro risale a ben dieci settimane fa. Il Papa mi aveva
accolto nel Palazzo Apostolico per proseguire i nostri colloqui
finalizzati al lavoro sulla sua biografia. L'udito era calato; l'occhio
sinistro non vedeva più; il corpo smagrito, tanto che i sarti facevano
fatica a tenere il passo con nuovi abiti. È diventato molto delicato,
ancora più amabile e umile, del tutto riservato. Non appare malato, ma
la stanchezza che si era impossessata di tutta la sua persona, corpo e
anima, non si poteva più ignorare. Mai lo avevo visto così esausto, così
prostrato. Con le ultime forze rimaste aveva portato a termine il terzo
volume della sua opera su Gesù, il mio ultimo libro, come mi ha detto
con sguardo triste al momento dei saluti".
Gian Paolo Di Raimondo
gianpaolo.diraimondo@fastwebnet.it
Roma, 22 febbraio
2013
www.omelie.org/approfondimenti
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