HABEMUS  PAPAM

 

 

 

 

 

 

 

Dopo l’elezione del nuovo Pontefice Francesco, si è scatenata sui media la rincorsa a cercare di capire, dai segnali percepiti nella sua prima apparizione in una gremitissima piazza San Pietro e dalla sua autobiografia, l’uomo Jorge Mario Bergoglio, il gesuita che ha scelto il nome di papa prendendolo in prestito dai francescani. Tante sono state le impressioni e le interpretazioni che autorevoli commentatori religiosi e laici hanno dato a tali primi segnali e, quindi, non credo sia il caso di aggiungere nulla di più; desidero solo evidenziare ciò che più mi ha colpito del personaggio assurto a capo della Chiesa cattolica.
Vorrei esprimere l’emozione provata nel sentire le sue prime parole da Vescovo di Roma (non ha mai pronunciato la parola Papa) e nel leggere come svolgesse la sua missione di “Pastore” a Buenos Aires. Bergoglio mi è apparso uomo e Vescovo semplice, misericordioso e sensibile ai problemi dei più bisognosi, sono certo che lo sarà anche da Papa. I primi segnali lo confermano: niente croce d’oro ma, in linea con lo stile francescano, la stessa di semplice metallo che aveva da Vescovo e “Misericordia, misericordia, misericordia” sono state le prime sue parole in pubblico.

Certamente, poi, non potrà mai rinnegare l’attitudine missionaria propria della Compagnia di Gesù che gli ha fatto sempre formulare un giudizio negativo sulla “globalizzazione”, quella esclusivamente e ad ogni costo protesa a massimizzare il profitto che impoverisce sempre di più i poveri. Infatti, nella prima Messa da Papa ai Cardinali, ha incitato la Chiesa a portare Cristo tra gli ultimi "Per quanti soffrono, per quanti lottano smarriti nella vita: Cristo, Pastore supremo, li ristori e li consoli e dia loro la corona di gloria".

I primi messaggi e i primi gesti di papa Francesco sono ben auguranti per prevedere che il suo pontificato sarà orientato al cambiamento della Chiesa con l’obiettivo che dagli scandali e divisioni interne si possa tornare allo spirito del Vangelo come a suo tempo chiese San Francesco. Prendiamo ad esempio l’atto di umiltà fatto quando, come Vescovo di Roma, si è affacciato al balcone di San Pietro subito dopo la nomina: ha chiesto che il popolo della Chiesa “che presiede nella carità” invocasse su di lui la benedizione del Signore. Solo dopo ha impartito lui stesso la benedizione di Dio sul popolo cristiano.

Ha voluto così – come fa notare Enzo Bianchi – “affermare simbolicamente che ogni benedizione viene dall’alto, dal Signore della Chiesa che ascolta la preghiera dei semplici”. Il nuovo Pontefice, primo papa latino-americano, primo papa gesuita, primo papa che prende il nome di Francesco (Francesco d’Assisi fu uomo di povertà e di pace), certamente potrà essere definito il Santo Padre dei poveri.

La sua elezione, manifestando la sconfitta di chi nella chiesa aspira al potere e alla carriera, esalta il ruolo del buon pastore del successore di Pietro per il popolo di Dio e, allo stesso tempo, assume una funzione di pacificazione tra le interne fazioni di una Chiesa che, come scrisse Benedetto XVI ai Vescovi di tutto il mondo nel marzo del 2009 citando la lettera di San Paolo ai Galati, all’interno della quale “anche oggi, proprio come allora, ci si morde e ci si divora’”.

Monsignor Bettazzi, Vescovo Emerito di Ivrea, ha così commentato l’elezione di papa Francesco: “Dentro la Curia romana c’erano dei problemi e come nuovo Papa è stato scelto un uomo esterno alla Curia, a differenza del porporato del Brasile che, pur venendo anche lui dall’America latina, era visto come espressione dell’apparato di governo del Vaticano. Ho molta fiducia – ha concluso monsignor Bettazzi – perché, al di fuori di tutte le previsioni, lo Spirito Santo ha saputo scegliere”.

Personalmente ritengo che papa Francesco, accogliendo l’ultimo lascito del suo predecessore, sarà la persona adatta per “far crescere il Concilio” e, sui punti qualificanti del pontificato di Benedetto XVI rimasti insoluti, possa proseguire la sfida del cattolicesimo in Europa, quale la lotta al nichilismo, il contrasto non solo all’ostilità ma soprattutto all’indifferenza. A sostegno della tesi che una parte dell’attività di papa Francesco sarà rivolta alla prosecuzione dell’impegno del suo predecessore non portato a buon fine, alcuni autorevoli commentatori vaticanisti intravedono addirittura la possibile collaborazione tra i due: un’utile integrazione tra l’attitudine pastorale e missionaria propria dei gesuiti e la necessaria visione teologica che deve ispirare la Chiesa.

Ma questa è solo un’ipotesi forse irrealizzabile. Mi piace però pensare che questo Papa realizzi il sogno di una nuova Chiesa di Carlo Maria Martini “Una Chiesa nella povertà e nell’umiltà, che non dipende dalle potenze di questo mondo. Una Chiesa che concede spazio alla gente che pensa più in là. Una Chiesa che dà coraggio, specialmente a chi si sente piccolo o peccatore. Una Chiesa giovane”.

 

Gian Paolo Di Raimondo

gianpaolo.diraimondo@fastwebnet.it

Roma, 15 marzo 2013

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