LA TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE
Padre Gustavo Gutiérrez
Questo mese avevo in animo di scrivere ancora su papa Bergoglio, mi sembrava doveroso continuare a delineare la sua eclettica immagine e ad esprimere il mio personale giudizio positivo sulla sua visione della nostra Chiesa. Ma non lo farò. Mi è sembrato inutile per due ordini di motivi: il primo perché ho notato un unamime coro di valutazioni favorevoli al suo modo di fare il Papa che ho creduto superfluo aggiungere la mia modesta opinione. Il secondo perché, letta l’intervista a La Civiltà Cattolica (n. 3918 del 19 settembre 2013), mi è sembrato che non c’era nient’altro da scrivere a commento se non consigliare a tutti gli amici del “sito” di acquistare il quaderno n. 3918 e leggere la trentina di pagine dell’intera intervista concessa al Direttore p. Antonio Spadaro. Ognuno deve commentare le parole di papa Francesco con il cuore. Fin’ora le uniche obiezioni alle aperture di nuovi percorsi per la Chiesa e alle iniziative avviate dal Papa per un processo di cambiamento delle strutture vaticane sono arrivate dai soliti noti con obiezioni vecchie e anchilosate. Da una parte i cattolici più intransigenti: “parla troppo a braccio … dovrebbe essere più prudente”, “vedrete che dopo una prima posizione di accoglienza, sarà lui che tornerà nella veste tradizionale papale … sarà lui a cambiare, non la Chiesa”. Dall’altra, alcuni non credenti e soprattutto gli agnostici: “sono solo parole, è puro marketing, alle parole non seguiranno mai i fatti”. Per fortuna questo tipo di obiezioni sono del tutto trascurabili per le dimensioni di numero e di oggettività. E veniamo all’argomento che vorrei trattare questo mese: la teologia della liberazione. L’idea di scrivere di questa corrente teologica mi è balenata dopo che papa Francesco ha ricevuto mercoledì 11 settembre pomeriggio nella casa Santa Marta p. Gustavo Gutierrez, lo storico teologo peruviano e padre della teologia della liberazione. Già da tempo avevo notato un tentativo di riabilitazione della corrente di pensiero dei Gutierrez e dei Boff per l’ampio spazio che l’Osservatore Romano sta dedicando ai loro libri, interviste e commenti. E poi avevo anche registrato quanto scritto da p. Ugo Sartorio – direttore del Messaggero di Sant’Antonio – “con un Papa latinoamericano, la teologia della liberazione non poteva rimanere a lungo nel cono d’ombra nel quale è stata relegata da alcuni anni, almeno in Europa”. Proviamo a farne brevemente la storia e a percorrere nel tempo i suoi rapporti con Santa Romana Chiesa. Gutiérrez, domenicano, il padre di quel pensiero teologico non è riuscito a dargli l’aspetto di un movimento unitario; infatti, la teologia della liberazione è stata percorsa da varie correnti diversificate e a volte contraddittorie. Pur essendo presente in tutte le sue manifestazioni la vocazione terzomondista, la dedizione totale ai poveri delle campagne e delle periferie, in alcuni casi contemplò la lotta armata che fu praticata anche da preti rivoluzionari. L’esempio più eclatante delle diverse posizioni all’interno del movimento si è consumato alcuni mesi fa con la rottura sul modo di attuare questa corrente teologica fra i due fratelli Clodovis e Leonardo Boff, i due pilastri su cui si basava la teologia della liberazione in Brasile. La disputa l’ha iniziata Clodovis, appartenente ai Servi di Maria, quando ha scritto un articolo su una rivista teologica brasiliana (Revista Eclesiastica Brasileira) criticando il fondamento su cui si basa la teologia della liberazione, non quella teorica, ma quella “realmente esistente”. A suo giudizio, l’errore “fatale” in cui essa incorre è di collocare il povero come “primo principio operativo della teologia”, sostituendolo a Dio e a Gesù Cristo. “Il risultato inevitabile è la politicizzazione della fede, la sua riduzione a strumento per la liberazione sociale”. La teologia della liberazione può salvarsi con i suoi frutti positivi, secondo Clodovis, solo tornando al suo fondamento originario, come indicato dal documento finale della conferenza di Aparecida di cui Bergoglio fu presidente della commissione che lo redasse. Tale documento rappresenta per Clodovis la “limpida dimostrazione di come è possibile coniugare correttamente la fede all’azione liberatrice”. A differenza dell’applicazione della teologia della liberazione, che “parte dal povero e incontra Cristo”, Aparecida “parte da Cristo e incontra il povero”, avendo ben chiaro che “il principio-Cristo include sempre il povero senza che il principio-povero includa necessariamente Cristo … La fonte originaria della teologia non è altro che la fede in Cristo”. A questo intervento ufficiale ne è seguito un altro di segno contrario, quello del fratello Leonardo, ex frate francescano, che nella sua replica, diffusa a fine maggio, resta fermissimo sul suo principio: “Dal momento che Dio si è fatto uomo-povero, l’uomo-povero diventa la misura di tutte le cose”. A giudizio di Leonardo, la tesi del fratello va rovesciata: “Non è vero che la teologia della liberazione sostituisca Dio e Cristo con il povero … E’ stato Cristo che ha voluto identificarsi con i poveri. Il luogo del povero è un luogo privilegiato d’incontro con il Signore. Chi incontra il povero incontra infallibilmente Cristo, ancora nella forma del crocifisso, che chiede di essere deposto dalla croce e risuscitato”. Ovviamente personalmente non mi azzardo a schierarmi da una o dall’altra parte della competizione, posso solo dire che conosco Clodovis Boff poiché è stato mio professore in un corso di mariologia al Marianum di Roma e l’ho stimato sia come uomo e che come teologo, non conosco il fratello e quindi non mi permetto giudizi di merito su di lui. Del professor Clodovis mi è rimasta in mente una saggia risposta ad una mia domanda riguardante la teologia della liberazione oggi in Brasile. “Questo tipo di movimento ha dato e sta dando i suoi frutti positivi”- mi rispose il professore - “come la zolletta di zucchero nel caffè che anche quando scompare perché sciolta lascia la sua benefica traccia”. L’incontro di Gutierrez con papa Bergoglio sembra abbia riabilitato, se non l’applicazione con le sue commistioni col marxismo, almeno i principi informatori del movimento: la particolare attenzione ai poveri. Ne è la dimostrazione l’ampio stralcio pubblicato da “L’Osservatore Romano” del libro di Gutierrez, docente all’Università di Notre Dame (Indiana), “Dalla parte dei poveri. Teologia della Liberazione, Teologia della Chiesa”, scritto col suo amico ed ex discepolo monsignor Gherhard Ludwing Mueller, attuale Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Il giornale del Vaticano ha dedicato particolare risalto a come Gutierrez rimarchi con grande favore la sua attenzione e solidarietà ai poveri come “preferiti da Dio”, aspetto che “viene dal Vangelo” e contro il “neoliberismo economico” e la “disumanizzazione dell’economia”. In questo senso appaiono lontani i tempi delle critiche severe alla teologia della liberazione sotto i Pontificati di Karol Wojtyla e di Joseph Ratzinger con le due istruzioni del 1984 (Libertatis nuntius) e del 1986 (Libertatis conscientia). Voglio chiudere raccontando un piacevole incontro con un personaggio eccezionale, sia per la sua età di ultracentenario, sia per la sua vita sacerdotale impegnata nella Chiesa densa di avvenimenti, anche traumatici, dell’ultimo secolo. E’ Arturo Paoli che ci accoglie, con passo malfermo e le ossa piegate (la schiena curva da fargli toccare lo sterno col mento), sabato 5 ottobre nella casa dei Piccoli Fratelli di Foucault a Lucca. Quando ci sediamo e lui comincia a parlare, però, i suoi 101 anni scompaiono e primeggia la lucidità mentale e la vivacità della memoria. Essendo stato, nel suo lungo periodo trascorso in America Latina, un protagonista delle teologia della liberazione, il discorso con lui verte quasi esclusivamente su quel tipo di movimento, sulle sue contraddizioni, sulla sua evoluzione. Dopo aver rimarcato come quest’ultimo Papa avesse un’idea diversa dai suoi predecessori che decretavano la verità e ne erano i controllori e dopo aver ripetutamente fatto riferimento allo Spirito Santo - ringraziandolo - per averci concesso un Pastore sensibile ai problemi dei poveri, ci ha spiegato come etimologicamente dovesse intendersi la “liberazione”. Per lui la “libera-azione” dovrebbe permettere alle nostre azioni di non essere inceppate da fattori esterni, soprattutto politici. Incalzato da me e da qualche altro presente sul fatto che il movimento teologico da lui abbracciato potesse giustificare anche la violenza sul piano sociale, ha eluso più volte la domanda, ma mi è sembrato tutt’altro che rivoluzionario, anzi piuttosto uomo di pace: il Regno di Dio porterà la pace, l’amore e la concordia tra voi. Perfino Leonardo Boff, di cui è amico, estimatore e dalla cui parte si schiera nella disputa con Clodovis, secondo Arturo Paoli, ha perso quel tanto di violenza che lo ha sempre distinto dal fratello e ne attribuisce la causa – dice scherzosamente – a sua moglie. Prima di concludere questa mia chiacchierata sulla teologia della liberazione e movimenti affini vorrei aggiungere che anche papa Bergoglio è stato vicino alla “teologia del popolo” formulata dal gesuita Juan Carlos Scannone, il massimo teologo argentino vivente. Niente marxismo, niente lotta sociale, unicamente vicinanza alla “cultura, alla religiosità, alla mistica popolare, alla povertà”. Di certo, però, Francesco non vuole più guerre sante dentro la sua chiesa e pensa sia giunto il momento opportuno per chiudere con dispute e battaglie del passato. A me sembra che effettivamente la “zolletta di zucchero” abbia lasciato nella Chiesa il suo effetto. Gian Paolo Di Raimondo gianpaolo.diraimondo@fastwebnet.it Roma, 10 ottobre 2013 www.omelie.org/approfondimenti
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