Dalla prima lettera
di san Giovanni apostolo (4, 19-21): “Noi amiamo, perché egli ci ha
amati per primo.
Se uno dicesse: ‘Io amo Dio’, e odiasse il suo fratello, è un mentitore.
Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che
non vede.
Questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche
il suo fratello”. La dimostrazione pratica di come le comunità
cristiane applicano la Carità, quella con la C maiuscola, quella
trasmessaci da Dio che si basa sull’amore per le persone più bisognose
per le quali dobbiamo farci “prossimo”, è la Caritas. Oggi più
che mai le Caritas diocesane continuano ad essere necessarie per la loro
funzione pedagogica e per l’indispensabile opera assistenziale verso gli
emarginati dalla società, gli ultimi.
Il concetto di base che muove da quarant’anni questa mirabile iniziativa
voluta da Paolo VI, nello spirito del rinnovamento avviato dal Concilio
Vaticano II, è quello di far crescere, nell’amore, tutta la comunità
ecclesiale. L’ascolto degli ultimi infatti è il banco di prova di una
Chiesa autenticamente evangelica. Qualche giorno fa è stato presentato
il “Rapporto 2014” della Caritas italiana con dati sulla povertà
veramente allarmanti. Cresce la percentuale di persone in situazione di
povertà che in Italia nel 2012 erano il 30,4% (18,5 milioni), al
ventunesimo posto nella classifica dei paesi peggiori per quanto
riguarda questo indicatore nell’Unione Europea a 28. Negli ultimi
quattro anni nessuno Stato membro ha registrato una crescita dei poveri
alta come quella verificatasi in Italia. Solo la Bulgaria ha fatto
peggio di noi. Come se non bastasse, mentre in Italia è molto alto il
rischio di trovarsi in situazione di povertà, è molto difficile poi
uscirne. E una piaga particolarmente grave è quella della povertà
infantile, di oltre cinque punti superiore alla media europea, tanto che
l’Italia è a rischio di crescita dello sfruttamento del lavoro minorile.
Infine, sono aumentate del 10%, fra il 2008 e il 2011 nel nostro paese,
le disuguaglianze di reddito. La povertà è in agguato dopo la rottura
dei rapporti coniugali: infatti, il 66,1% dei separati che si rivolgono
alla Caritas dichiara di non riuscire a provvedere all'acquisto dei beni
di prima necessità. Prima della separazione erano solo il 23,7 per
cento, quindi sono praticamente raddoppiati. Altre conseguenze della
separazione: aumenta il ricorso ai servizi socio-assistenziali del
territorio come anche la crescita di disturbi psicosomatici, il 66,7%
accusa un più alto numero di sintomi rispetto alla pre-separazione.
Inoltre, la separazione incide negativamente nel rapporto padri-figli:
il 68% dei padri (46,3% delle donne) intervistati riconosce un
cambiamento importante a seguito della separazione; tra i padri che
riconoscono un cambiamento il 58,2% denuncia un peggioramento nella
qualità dei rapporti (le madri al contrario riconoscono per lo più un
miglioramento). Tra i separati/divorziati che si sono rivolti ai centri
di ascolto della Caritas la gran parte è di nazionalità italiana
(85,3%); in termini di genere c'è una leggera prevalenza delle donne
(53,5%), rispetto agli uomini (46,5%) anche se si può parlare quasi di
un'equa divisione. Il 42,9% è coinvolto in separazioni legali, il 28,1%
in separazioni di fatto e il 22,8% in procedimenti di divorzio.
Un’ultima notizia inquietante ci viene dall’Istat: un milione 130mila
sono le famiglie senza alcun reddito da lavoro. La situazione della
povertà, o meglio, della fame nel mondo si estende a dismisura e diventa
allarmante (alcuni parlano addirittura di estinzione del genere umano in
assenza di inversione dell’attuale trend) se allarghiamo lo
sguardo fuori dei confini nazionali ed europei. Possibile che non ci si
accorga di questo e si continui a vivere alla giornata come se nulla
fosse? Possibile che tutti gli appelli che, per mia memoria, si sono
susseguiti da papa Giovanni XXIII ad oggi, siano rimasti inascoltati dai
responsabili delle Istituzioni mondiali? Possibile che non ci si renda
conto che, per disinnescare eventuali tensioni pericolosissime per il
mantenimento della pace nel mondo, non si pensi a bloccare l’attuale
tendenza di aumento delle diseguaglianze di reddito? Voglio solo qui
riportare, a sintesi di tutti gli appelli papali sull’argomento, quello
recente di papa Francesco diffuso a dicembre dello scorso anno con un
videomessaggio in occasione della Giornata mondiale dei diritti umani
sul tema “Una sola famiglia umana – Cibo per tutti”: "Un
ruggito per scuotere le coscienze contro lo scandalo della fame nel
mondo, una vergogna che tocca oltre un miliardo di persone davanti alle
quali nessuno si deve girare dall'altra parte".
A me non sembra poco. Ed ora veniamo alla situazione che viviamo più da
vicino, quella di Roma e del Lazio. Anche nei limiti della nostra
diocesi la povertà incombe; infatti per fronteggiarla la Caritas è
presente con 36 centri – ostelli, comunità, case famiglia e mense
sociali – che operano a supporto delle comunità parrocchiali
coordinandosi con i centri di ascolto. Un’attività che, come riferito da
monsignor Enrico Feroci direttore della Caritas di Roma presentando il
Rapporto “Caritas in cifre 2013”, ha permesso di accogliere e
ascoltare oltre 55mila disadattati, offrire un tetto a 2.500 persone,
distribuire 350mila pasti, assistere e curare 6mila malati, permettere a
1.300 famiglie di fare la spesa gratuitamente nei due empori della
solidarietà attivi in diocesi. Monsignor Feroci ha anche fatto
notare che la Caritas è presente in tante chiese del territorio dove
sono anche allestite mense sociali, oppure i volontari vanno a
distribuire pasti caldi ai senza dimora, soprattutto vicino alle
stazioni ferroviarie. Ormai i dati distribuiti dal Rapporto indicano che
ai centri di ascolto si rivolgono in egual misura italiani e stranieri.
Chiedono per lo più aiuti alimentari e consigli per la ricerca di un
lavoro. Si è creato un esercito “invisibile” e disperato di
concittadini, in lotta ogni giorno con la miseria, la disoccupazione e
la fame, quella vera. E’ la dimostrazione pratica che la crisi morde e
rende difficile, spesso impossibile, sopravvivere senza ricorrere ai
centri assistenziali e alle parrocchie.
A queste ultime si presentano, in punta di piedi e con un po’ di
vergogna, donne – in numero costantemente crescente – che presentano
situazioni familiari di tale precarietà da non riuscire a pagare le
bollette di luce e gas. Sono testimone che alcuni parroci intervengono
prima che gli enti preposti siano costretti a sospendere l’erogazione
delle forniture. Le comunità parrocchiali nel maggior numero dei casi,
su richiesta dei parroci, partecipano con spirito cristiano alla
soluzione di tali casi. Sono certo che questo sia il vero aspetto
necessario per qualificarsi seguaci di Cristo come autorevolmente ci
ricorda papa Francesco: «Non possiamo seguire Gesù sulla via della
carità se non ci vogliamo bene prima di tutto tra noi, se non ci
sforziamo di collaborare, di comprenderci a vicenda e di perdonarci,
riconoscendo a ciascuno i propri limiti e i propri sbagli».
Gian Paolo Di Raimondo
gianpaolo.diraimondo@fastwebnet.it
Roma, 4 maggio 2014
www.omelie.org/approfondimenti
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