“CHI AMA DIO, AMI ANCHE IL SUO FRATELLO”

Caritas Roma, nel 2013 distribuiti 350mila pasti caldi ai senza casa



 

Una mensa Caritas

 

 

 

 

Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo (4, 19-21): “Noi amiamo, perché egli ci ha amati per primo.
Se uno dicesse: ‘Io amo Dio’, e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede.
Questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche il suo fratello
”. La dimostrazione pratica di come le comunità cristiane applicano la Carità, quella con la C maiuscola, quella trasmessaci da Dio che si basa sull’amore per le persone più bisognose per le quali dobbiamo farci “prossimo”, è la Caritas. Oggi più che mai le Caritas diocesane continuano ad essere necessarie per la loro funzione pedagogica e per l’indispensabile opera assistenziale verso gli emarginati dalla società, gli ultimi.
Il concetto di base che muove da quarant’anni questa mirabile iniziativa voluta da Paolo VI, nello spirito del rinnovamento avviato dal Concilio Vaticano II, è quello di far crescere, nell’amore, tutta la comunità ecclesiale. L’ascolto degli ultimi infatti è il banco di prova di una Chiesa autenticamente evangelica. Qualche giorno fa è stato presentato il “Rapporto 2014” della Caritas italiana con dati sulla povertà veramente allarmanti. Cresce la percentuale di persone in situazione di povertà che in Italia nel 2012 erano il 30,4% (18,5 milioni), al ventunesimo posto nella classifica dei paesi peggiori per quanto riguarda questo indicatore nell’Unione Europea a 28. Negli ultimi quattro anni nessuno Stato membro ha registrato una crescita dei poveri alta come quella verificatasi in Italia. Solo la Bulgaria ha fatto peggio di noi. Come se non bastasse, mentre in Italia è molto alto il rischio di trovarsi in situazione di povertà, è molto difficile poi uscirne. E una piaga particolarmente grave è quella della povertà infantile, di oltre cinque punti superiore alla media europea, tanto che l’Italia è a rischio di crescita dello sfruttamento del lavoro minorile.
Infine, sono aumentate del 10%, fra il 2008 e il 2011 nel nostro paese, le disuguaglianze di reddito. La povertà è in agguato dopo la rottura dei rapporti coniugali: infatti, il 66,1% dei separati che si rivolgono alla Caritas dichiara di non riuscire a provvedere all'acquisto dei beni di prima necessità. Prima della separazione erano solo il 23,7 per cento, quindi sono praticamente raddoppiati.  Altre conseguenze della separazione: aumenta il ricorso ai servizi socio-assistenziali del territorio come anche la crescita di disturbi psicosomatici, il 66,7% accusa un più alto numero di sintomi rispetto alla pre-separazione. Inoltre, la separazione incide negativamente nel rapporto padri-figli: il 68% dei padri (46,3% delle donne) intervistati riconosce un cambiamento importante a seguito della separazione; tra i padri che riconoscono un cambiamento il 58,2% denuncia un peggioramento nella qualità dei rapporti (le madri al contrario riconoscono per lo più un miglioramento). Tra i separati/divorziati che si sono rivolti ai centri di ascolto della Caritas la gran parte è di nazionalità italiana (85,3%); in termini di genere c'è una leggera prevalenza delle donne (53,5%), rispetto agli uomini (46,5%) anche se si può parlare quasi di un'equa divisione. Il 42,9% è coinvolto in separazioni legali, il 28,1% in separazioni di fatto e il 22,8%  in procedimenti di divorzio.
Un’ultima notizia inquietante ci viene dall’Istat: un milione 130mila sono le famiglie senza alcun reddito da lavoro.  La situazione della povertà, o meglio, della fame nel mondo si estende a dismisura e diventa allarmante (alcuni parlano addirittura di estinzione del genere umano in assenza di inversione dell’attuale trend) se allarghiamo lo sguardo fuori dei confini nazionali ed europei. Possibile che non ci si accorga di questo e si continui a vivere alla giornata come se nulla fosse? Possibile che tutti gli appelli che, per mia memoria, si sono susseguiti da papa Giovanni XXIII ad oggi, siano rimasti inascoltati dai responsabili delle Istituzioni mondiali? Possibile che non ci si renda conto che, per disinnescare eventuali tensioni pericolosissime per il mantenimento della pace nel mondo, non si pensi a bloccare l’attuale tendenza di aumento delle diseguaglianze di reddito? Voglio solo qui riportare, a sintesi di tutti gli appelli papali sull’argomento, quello recente di papa Francesco diffuso a dicembre dello scorso anno con un videomessaggio in occasione della Giornata mondiale dei diritti umani sul tema “Una sola famiglia umana – Cibo per tutti”: "Un ruggito per scuotere le coscienze contro lo scandalo della fame nel mondo, una vergogna che tocca oltre un miliardo di persone davanti alle quali nessuno si deve girare dall'altra parte".
A me non sembra poco. Ed ora veniamo alla situazione che viviamo più da vicino, quella di Roma e del Lazio. Anche nei limiti della nostra diocesi la povertà incombe; infatti per fronteggiarla la Caritas è presente con 36 centri – ostelli, comunità, case famiglia e mense sociali – che operano a supporto delle comunità parrocchiali coordinandosi con i centri di ascolto. Un’attività che, come riferito da monsignor Enrico Feroci direttore della Caritas di Roma presentando il Rapporto “Caritas in cifre 2013”, ha permesso di accogliere e ascoltare oltre 55mila disadattati, offrire un tetto a 2.500 persone, distribuire 350mila pasti, assistere e curare 6mila malati, permettere a 1.300 famiglie di fare la spesa gratuitamente nei due empori della solidarietà attivi in diocesi. Monsignor Feroci ha anche fatto notare che la Caritas è presente in tante chiese del territorio dove sono anche allestite mense sociali, oppure i volontari vanno a distribuire pasti caldi ai senza dimora, soprattutto vicino alle stazioni ferroviarie. Ormai i dati distribuiti dal Rapporto indicano che ai centri di ascolto si rivolgono in egual misura italiani e stranieri. Chiedono per lo più aiuti alimentari e consigli per la ricerca di un lavoro. Si è creato un esercito “invisibile” e disperato di concittadini, in lotta ogni giorno con la miseria, la disoccupazione e la fame, quella vera. E’ la dimostrazione pratica che la crisi morde e rende difficile, spesso impossibile, sopravvivere senza ricorrere ai centri assistenziali e alle parrocchie.
A queste ultime si presentano, in punta di piedi e con un po’ di vergogna, donne – in numero costantemente crescente – che presentano situazioni familiari di tale precarietà da non riuscire a pagare le bollette di luce e gas. Sono testimone che alcuni parroci intervengono prima che gli enti preposti siano costretti a sospendere l’erogazione delle forniture. Le comunità parrocchiali nel maggior numero dei casi, su richiesta dei parroci, partecipano con spirito cristiano alla soluzione di tali casi. Sono certo che questo sia il vero aspetto necessario per qualificarsi seguaci di Cristo come autorevolmente ci ricorda papa Francesco: «Non possiamo seguire Gesù sulla via della carità se non ci vogliamo bene prima di tutto tra noi, se non ci sforziamo di collaborare, di comprenderci a vicenda e di perdonarci, riconoscendo a ciascuno i propri limiti e i propri sbagli».

 

Gian Paolo Di Raimondo

gianpaolo.diraimondo@fastwebnet.it

Roma, 4 maggio 2014

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