LA GUERRA CHE NON FINISCE MAI
Magari fosse vero e si avverasse quello che pensava Nelson Mandela sull’odio e l’amore: “Nessuno nasce odiando i propri simili a causa della razza, della religione o della classe alla quale appartengono. Gli uomini imparano a odiare, e se possono imparare a odiare, possono anche imparare ad amare, perché l'amore, per il cuore umano, è più naturale dell'odio”. Io credo invece, e la storia ce lo insegna, che gli uomini non si siano mai amati fra loro, sembra quasi che imparare ad odiare sia più facile. Anche la Bibbia lo dice e Sigmund Freud ce lo ha confermato. Oggi mezzo mondo è in guerra: molte ne sono le motivazioni – alcune addirittura fittizie – ma quello che risulta essere il sentimento dominante e durevole è sempre e solamente l’odio. L’odio muove il mondo. Se così non fosse come si spiegherebbe la guerra infinita tra Ebrei e Palestinesi: una guerra che dura da 70 anni senza soluzione di continuità. Un’intera generazione è nata sotto le bombe e sta morendo sotto i missili. Alcuni osservatori esperti di quel conflitto sostengono che dovremmo farcene una ragione: anche le nostre generazioni non ne vedranno mai la fine. Fabrizio Vincenti dice che la causa sia da attribuirsi al fatto che i Palestinesi sono troppo deboli per muovere una guerra risolutiva contro gli Ebrei e, i figli di David, troppo forti per poter impunemente sterminare un popolo. Come contraddirlo? Vista questa situazione e il fatto che se ne sia parlato e scritto all’infinito per cercare di informare l’opinione pubblica mondiale sull’assurdità di questa guerra e, i grandi della terra – presidenti, monarchi e papi – abbiano vanamente proclamato messaggi di pace, ho dovuto superare molti dubbi per aggiungere un mio modesto pensiero alla marea di notizie che, direttamente o indirettamente, affermati opinionisti danno su questo argomento. Sono quasi convinto che la gente si sia talmente abituata a tali bollettini di sangue che ormai non ci si sofferma più a meditarci: un semplice sguardo superficiale e poi via all’informazione seguente. Alla fine, però, ho deciso di scrivere anch’io la mia opinione. Poiché su un argomento così importante nella storia dell’umanità sarebbe criminale far finta di niente, girarsi dall’altra parte. In ogni viaggio che ho fatto in Israele e in Palestina sono rimasto traumatizzato nel vedere, da una parte e dall’altra, come le due comunità siano costrette a vivere in uno stato di perenne pericolo e a difendersi in modo tale che spesso raggiunge il parossismo. Al mattino, le lunghe file di operai palestinesi al muro per andare a lavorare a Gerusalemme (la povera gente, al solito, deve pagare con la limitazione della propria libertà le sciagurate incursioni dei terroristi Kamikaze); la dogana israeliana che blocca - a volte fino al superamento della scadenza - le medicine spedite dall’Italia e dal Vaticano per il Baby Hospital di Betlemme; le frotte di bambini ebrei allegri e spensierati, come tutti i bambini del mondo, ma accompagnati da soldati con fucili mitragliatore. Questi solo alcuni esempi di quello che ho visto e sentito raccontare da suor Donatella con il groppo in gola. Ma io sono un sentimentale e, con l’età, anche facile alla commozione, e quindi non faccio testo, mi accorgo invece che normalmente la gente accanto a me assiste con indifferenza a questa immane tragedia, al massimo, l’archivia tra le cose da dimenticare assieme alle altre centinaia di guerre e atrocità attive nel mondo. E veniamo alle poche considerazioni che voglio fare. Magari non dirò cose originali, dopo tutti questi anni è difficile non avere punti di vista comuni a qualcun altro. Peraltro ribadire quanto già detto su un determinato argomento, non toglie nulla alle proprie idee. Io, per esempio, sono fermamente convinto che molta della responsabilità di aver costretto la maggior parte del popolo palestinese ad essere rinchiuso nella prigione a cielo aperto della Striscia di Gaza, sia dei paesi arabi. Non c’è dubbio che nessuno di loro ha mai gradito avere in casa propria i profughi palestinesi. Anzi, spesso, sono stati proprio questi i maggiori oppositori agli oltre 5 milioni di profughi della diaspora: li hanno sempre considerati, ovunque siano stati ospitati, dei paria senza diritti, da confinare in campi sovraffollati senza servizi, controllati a vista dalle polizie locali. In Giordania ci fu il famoso “settembre nero” del 1970, in Libano 500 mila profughi che vivono ancora nei campi sono considerati senza diritti politici e sociali, nel Kuwait i lavoratori palestinesi furono espulsi durante la prima guerra del Golfo per il sostegno che l’Olp ricevette dal regime di Saddam. Non esiste un paese arabo che abbia mai offerto un concreto aiuto ai Palestinesi fuggiti dalle loro case, agli Arabi conviene che questo popolo disgraziato sia relegato nella prigione a cielo aperto della Striscia di Gaza ben controllato dalle forze armate ebraiche. Il popolo palestinese deve poter avere una propria patria dove vivere liberamente: tutti ne sono convinti, ma le soluzioni prese in esame dai due contendenti hanno sempre cozzato con il pregiudizio condizionato dall’odio atavico delle due etnie in cui anche la religione diviene un pretesto per alimentarlo. L’unica decisione condivisa, a prescindere da ogni logica considerazione, è sempre stata quella che solo la guerra con la distruzione del nemico potrà risolvere il problema, non c’è nessuna possibilità di convivenza. Di qui i continui attacchi degli estremisti Palestinesi e le continue reazioni degli Israeliani (forse sproporzionate rispetto all’offesa) anch’essi però con il sacrosanto diritto di vivere liberamente senza l’incubo persistente dei razzi avversi. Mentre sto scrivendo è in atto l’ennesima invasione della Striscia di Gaza da parte Israeliana, chiamata “Margine di protezione”, quale reazione ai tre ragazzi ebrei uccisi in Cisgiordania (e il successivo omicidio del ragazzo palestinese da parte di estremisti ebrei), ma soprattutto alla decisione di Hamas (braccio operativo dei Fratelli Musulmani) di rialzare lo scontro lanciando numerosi razzi dalla Striscia. Questa volta l’invasione del territorio palestinese è diretta alla distruzione dei tunnel che consentono agli oltranzisti guerriglieri di Hamas di infiltrarsi in Israele, di depositare i missili e lanciarli da posizioni ben protette. E’ praticamente inutile vedere come andrà a finire, già lo si sa, come al solito sarà assicurato il bagno di sangue: morirà qualche soldato ebreo e tanti civili palestinesi (soprattutto donne e bambini) in quanto i tunnel partono sempre da sotto le abitazioni sovraffollate. La storia si ripete, ma oggi è pure aggravata dal fatto che l’Olp - la parte moderata palestinese - ha perso potere e quindi è più difficile aprire una qualsiasi trattativa di tregua. Vedi il fallimento del tentativo egiziano di arrivare ad una sospensione dei combattimenti accettato dagli israeliani, dall’Olp, ma non da Hamas. Hamas decide ormai autonomamente avendo estromesso Abu Mazen e persegue indisturbato il suo disegno strategico di rialzare lo scontro con Israele. Il movimento islamista Hamas ha bisogno di guerra, di nuovi martiri in modo da ricompattare le file contro il nemico di sempre. Martiri, sempre martiri, sono i martiri che alimentano l’odio ed è solo l’odio che può giustificare la recrudescenza di una guerra con una così alta diseguaglianza di prezzo da pagare: dieci/cento a uno a scapito dei Palestinesi. Ad esempio lo squilibrio di vittime nell’operazione “Piombo fuso” del 2008 fu di 1.400 morti Palestinesi contro ‘solo’ 13 Israeliani. Però è pure vero, per tentare un sommario quadro della situazione, che anche dalla parte degli Israeliani abbiano preso il sopravvento nella gestione del rapporto con i Palestinesi i coloni estremisti con l’appoggio di Netanyahu, quelli che, con i loro insediamenti in Cisgiordania e la loro intransigenza interessata, alimentano l’odio schiacciando la maggioranza degli Ebrei che, secondo i sondaggi, sarebbe propensa ad accettare la soluzione dei due Stati per due popoli. In pratica, la divisione storica della Palestina. Fino a quando prevarrà, da ambedue le parti, l’odio su qualsiasi tentativo moderato di conciliazione, non potrà mai esistere alcuna possibilità di pace, in barba a tutti gli appelli dell’ONU e dei potenti della terra.
Gian Paolo Di Raimondo gianpaolo.diraimondo@fastwebnet.it Roma, 1 agosto 2014
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