LA DESTINAZIONE UNIVERSALE DEI BENI

 

 

 

 

 

 

L’idea di azzardare una personale analisi dell’Enciclica di papa Francesco Laudato si’ mi è venuta domenica 28 maggio nell’ascoltare la Parola durante la Messa: la parte della seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi relativa all’uguaglianza. Voglio iniziare proprio dalla Sacra Srittura e da San Paolo per immaginare una catena che lega tutta la cristianità al concetto dell’uguaglianza, al principio della subordinazione della proprietà privata alla destinazione universale dei beni e al diritto universale al loro uso. La Sacra Scrittura, infatti, narra che l’uomo venne posto da Dio nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse. Affidandogli la terra, Dio gli consegnò, in qualche modo, tutta la sua gratuità. L’uomo diventa così la creatura chiamata a realizzare il disegno divino di governare il mondo nello stile della gratuità, con santità e giustizia (cfr Sap 9,2-3). Anche nei Vangeli nel passo delle Beatitudini (cfr Matteo 5,3 e Luca 6, 20) e negli Atti 2,41-47 si racconta la predilezione del cristianesimo per i poveri e per la comunione dei beni: i primi cristiani “vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno”.
I Padri della Chiesa furono i primi prosecutori del messaggio evangelico del comune diritto di tutti ad usare i beni della creazione, il diritto della proprietà privata come subordinato al diritto dell’uso comune alla destinazione universale dei beni. Ecco come si esprimeva in proposito Giovanni Crisostomo: “
Non condividere i propri beni con i poveri significa derubarli e privarli della vita. I beni che possediamo non sono nostri, ma loro”.  Come si può vedere, questa attenzione per i poveri è nel Vangelo, è nella tradizione della Chiesa, non è un’invenzione del comunismo e non bisogna ideologizzarla, come alcune volte è accaduto nel corso della storia. Anche se da Costantino in poi la Chiesa, divenuta religione di Stato, assunse una connotazione strutturalmente e quindi anche economicamente organizzata da farla assimilare ai regnanti terreni, singolarmente i cristiani illuminati come i Santi (vedi fra tutti San Francesco d’Assisi) continuarono a tenere solida la catena che li collegava al Vangelo. Fino ad arrivare alla svolta epocale rappresentata dal Concilio Vaticano II e a papa Paolo VI che, nella “Populorum progressio”, afferma che la proprietà privata non costituisce per alcuno un diritto incondizionato e assoluto, e che nessuno è autorizzato a riservare a suo uso esclusivo ciò che supera il suo bisogno, quando gli altri mancano del necessario. Tornando al Concilio, al n. 8 della costituzione conciliare Lumen gentium si dichiara chiaramente che il problema del rapporto con i beni del creato è anche strutturale e istituzionale: “Come Cristo ha compiuto la redenzione attraverso la povertà e le persecuzioni, così pure la Chiesa è chiamata a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza. Gesù Cristo «che era di condizione divina... spogliò se stesso, prendendo la condizione di schiavo» (Fil 2,6-7) e per noi «da ricco che era si fece povero» (2 Cor 8,9): così anche la Chiesa, quantunque per compiere la sua missione abbia bisogno di mezzi umani, non è costituita per cercare la gloria terrena, bensì per diffondere, anche col suo esempio, l'umiltà e l'abnegazione. Come Cristo infatti è stato inviato dal Padre «ad annunciare la buona novella ai poveri, a guarire quei che hanno il cuore contrito» (Lc 4,18), «a cercare e salvare ciò che era perduto» (Lc 19,10), così pure la Chiesa circonda d'affettuosa cura quanti sono afflitti dalla umana debolezza, anzi riconosce nei poveri e nei sofferenti l'immagine del suo fondatore, povero e sofferente, si fa premura di sollevarne la indigenza e in loro cerca di servire il Cristo”. La condivisione dei beni è rappresentato come tema e compito ecclesiale ed abbraccia sia beni spirituali che quelli materiali: “E infine ne derivano, tra le diverse parti della Chiesa, vincoli di intima comunione circa i tesori spirituali, gli operai apostolici e le risorse materiali. I membri del popolo di Dio sono chiamati infatti a condividere i beni e anche alle singole Chiese si applicano le parole dell'Apostolo: «Da bravi amministratori della multiforme grazia di Dio, ognuno di voi metta a servizio degli altri il dono che ha ricevuto» (1Pt 4,10)”.
Addirittura papa Francesco ci ha ricordato, nell’intervista fattagli per il libro “Papa Francesco. Questa economia uccide” da Andrea Tornielli e Giacomo Galeazzi che “
Un mese prima di aprire il Concilio Ecumenico Vaticano II, Papa Giovanni XXIII disse: “La Chiesa si presenta quale è e vuole essere, come la Chiesa di tutti, e particolarmente la Chiesa dei poveri”. Negli anni successivi la scelta preferenziale per i poveri è entrata nei documenti del magistero. Qualcuno potrebbe pensare a una novità, mentre invece si tratta di un’attenzione che ha la sua origine nel Vangelo ed è documentata già nei primi secoli di cristianesimo”. Fatto questo breve excursus non mi sono meravigliato che il nostro Papa continuasse la catena storica – forse con un po’ di enfasi in più – nella sua Enciclica Laudato si’, ribadendo il concetto evangelico della destinazione comune dei beni in un sistema di ecologia integrale, ambientale, economica, sociale e culturale:

93. Oggi, credenti e non credenti sono d’accordo sul fatto che la terra è essenzialmente una eredità comune, i cui frutti devono andare a beneficio di tutti. Per i credenti questo diventa una questione di fedeltà al Creatore, perché Dio ha creato il mondo per tutti. Di conseguenza, ogni approccio ecologico deve integrare una prospettiva sociale che tenga conto dei diritti fondamentali dei più svantaggiati. Il principio della subordinazione della proprietà privata alla destinazione universale dei beni e, perciò, il diritto universale al loro uso, è una “regola d’oro” del comportamento sociale, e il «primo principio di tutto l’ordinamento etico-sociale». La tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto o intoccabile il diritto alla proprietà privata, e ha messo in risalto la funzione sociale di qualunque forma di proprietà privata. San Giovanni Paolo II ha ricordato con molta enfasi questa dottrina, dicendo che «Dio ha dato la terra a tutto il genere umano, perché essa sostenti tutti i suoi membri, senza escludere né privilegiare nessuno ». Sono parole pregnanti e forti. Ha rimarcato che «non sarebbe veramente degno dell’uomo un tipo di sviluppo che non rispettasse e non promuovesse i diritti umani, personali e sociali, economici e politici, inclusi i diritti delle Nazioni e dei popoli». Con grande chiarezza ha spiegato che «la Chiesa difende sì il legittimo diritto alla proprietà privata, ma insegna anche con non minor chiarezza che su ogni proprietà privata grava sempre un’ipoteca sociale, perché i beni servano alla destinazione generale che Dio ha loro dato». Pertanto afferma che «non è secondo il disegno di Dio gestire questo dono in modo tale che i suoi benefici siano a vantaggio soltanto di alcuni pochi». Questo mette seriamente in discussione le abitudini ingiuste di una parte dell’umanità. 

94. Il ricco e il povero hanno uguale dignità, perché «il Signore ha creato l’uno e l’altro» ( Pr 22,2), «egli ha creato il piccolo e il grande» ( Sap 6,7), e «fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni» (Mt 5,45). Questo ha conseguenze pratiche, come quelle enunciate dai Vescovi del Paraguay: «Ogni contadino ha diritto naturale a possedere un appezzamento ragionevole di terra, dove possa stabilire la sua casa, lavorare per il sostentamento della sua famiglia e avere sicurezza per la propria esistenza. Tale diritto dev’essere garantito perché il suo esercizio non sia illusorio ma reale. Il che significa che, oltre al titolo di proprietà, il contadino deve contare su mezzi di formazione tecnica, prestiti, assicurazioni e accesso al mercato». 

95. L’ambiente è un bene collettivo, patrimonio di tutta l’umanità e responsabilità di tutti. Chi ne possiede una parte è solo per amministrarla a beneficio di tutti. Se non lo facciamo, ci carichiamo sulla coscienza il peso di negare l’esistenza degli altri. Per questo i Vescovi della Nuova Zelanda si sono chiesti che cosa significa il comandamento “non uccidere” quando «un venti per cento della popolazione mondiale consuma risorse in misura tale da rubare alle nazioni povere e alle future generazioni ciò di cui hanno bisogno per sopravvivere»”.

Voglio concludere riportando quella parte della seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi  che, come dicevo all’inizio, mi ha indotto a scrivere questa breve panoramica su un tema basilare della nostra religione cristiana e raggiungere, quindi, l’obiettivo finale dell’Enciclica Laudato si’ che, a mio avviso, ha il pregio di far pronunciare il Magistero della Chiesa ancora una volta forte e chiaro su un argomento che, fin dalla sua proclamazione, papa Francesco ha assunto come missione del suo pontificato: una Chiesa povera e per i poveri. Così san Paolo: “Fratelli, come siete ricchi in ogni cosa, nella fede, nella parola, nella conoscenza, in ogni zelo e nella carità che vi abbiamo insegnato, così siate larghi anche in quest’opera generosa. Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà. Non si tratta di mettere in difficoltà voi per sollevare gli altri, ma che vi sia uguaglianza. Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza, e vi sia uguaglianza, come sta scritto: “Colui che raccolse molto non abbondò e colui che raccolse poco non ebbe di meno”. Quanti secoli dovevano passare per arrivare a Marx!?!

Gian Paolo Di Raimondo

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Roma, 1° luglio 2015

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