MENTE, CERVELLO, COSCIENZA E … ANIMA
“Più affascinante della foresta vergine amazzonica: il sistema nervoso centrale”
Rita Levi Montalcini
Sono sempre stato attirato dal cercare di capire quale sia il rapporto tra la mente, il cervello e la coscienza e poi, in questo già complicatissimo sistema di relazioni, come si possa inserire l’esistenza dell’anima. Purtroppo queste implicazioni sono pressoché ignote dal punto di vista scientifico. Solo recentemente le neuroscienze si sono poste l’obiettivo di studiare quale sia la relazione fra una massa di particelle incoscienti e i vari aspetti delle funzioni mentali tipiche dell’essere umano, funzioni che non sono soltanto quelle più comunemente note della percezione, del movimento e della memoria, ma soprattutto quelle integrative superiori e in particolare la capacità di prendere decisioni, la gestione del linguaggio, la coscienza di noi stessi come individui indipendenti dotati di autonomia, l’intenzionalità, l’immaginazione e la creatività nell’arte e nella scienza (da “La strana coppia” di Piergiorgio Strata, Carocci Editore). Ovviamente in questa prima parte cercherò di porre l’attenzione solo sull’indagine scientifica a proposito di mente-cervello, lasciando alla conclusione qualche riflessione sull’anima, per la quale non ci si può assolutamente basare su concetti scientifici, ma esclusivamente filosofici e teologici. Soprattutto ogni discorso sull’anima non può prescindere dal vedere l’essere umano con gli occhi della fede. Lo studio delle implicazioni della mente con il cervello, messo in evidenza con la psicofisica, si è sviluppato negli ultimi anni grazie agli esperimenti fatti con l’uso delle moderne tecnologie, quali la tomografia a emissione di positroni (PET) e la risonanza magnetica funzionale (RMf). Tecniche che si basano sul principio che l’incremento delle attività nelle cellule cerebrali comporta un aumento del loro metabolismo. Come accennavo prima, le scoperte dell’iterazione tra mente e cervello sono abbastanza recenti, la teoria dualistico-interazionista risale al 1968. John Carew Eccles, avvalendosi della collaborazione dell’epistemologo Karl Popper, introduce accanto al corpo e alla psiche, un terzo elemento dell’interazione (teoria dei tre mondi): i prodotti della mente umana (mondo 3). Quali sono questi tre mondi? Eccoli: al mondo 1 appartengono oggetti del mondo fisico come la materia organica e inorganica, le strutture biologiche, tra cui il cervello umano e gli oggetti fabbricati dall’uomo; il mondo 2 è il mondo delle esperienze percettive, delle esperienze coscienti, delle emozioni, dei ricordi, dei pensieri e delle fantasie; il mondo 3 (il mondo della cultura) è costituito dai prodotti della mente umana: i racconti, i miti, le convinzioni religiose, le opere d’arte, le teorie scientifiche. Queste sinteticamente le modalità di interazione tra la mente e il cervello secondo Eccles: esiste un’interfaccia stabile tra mondo 2 e mondo 1, cioè tra la sede della globalità delle esperienze coscienti (confinata in particolari regioni del cervello) e il mondo fisico (le strutture fisiche del cervello). Tale interfaccia garantisce una permeabilità selettiva tra queste due entità. Addentrandoci solo un po’ sui concetti di mente e coscienza, mi azzardo ad asserire che in alcune circostanze la mente è utilizzata come strumento per ragionare, per trarre delle conclusioni, per risolvere i problemi, per progettare qualcosa. Questo aspetto della mente è quello più facilmente analizzabile dal punto di vista scientifico e anche simulabile parzialmente dal computer. Ma quando cerchiamo di capire qualcosa sulla coscienza dobbiamo abdicare alle dimostrazioni scientifiche simulabili da un computer. Forse la coscienza è definibile come la cognizione della situazione attuale del mondo circostante, dei contenuti della nostra memoria operativa e di quanto richiamato dalla propria memoria a lungo termine. Edoardo Boncinelli nel suo libro Il cervello, la mente e l’anima dice che le emozioni sono correlate e interessano – più o meno in modo evidente e percepibile – il sistema nervoso neurovegetativo, i sentimenti, poi, affondano le loro radici nelle emozioni, ma coinvolgono quasi invariabilmente la coscienza, sostiene anche che possiamo definire l’anima come risultato della sintesi dell’aspetto computazionale e di quello fenomenologico della mente e contenente almeno una provincia necessariamente cosciente e accessibile all’introspezione… Il problema è che se il concetto di mente è piuttosto sfuggente, quello di anima è addirittura inafferrabile. E qui non credo ci siano alternative per proseguire se non utilizzando gli occhi della fede. Come prima considerazione mi pare di condividere maggiormente la tesi di alcuni teologi che non è il corpo che contiene l’anima, ma l’anima si “esprime nel corpo” e lo contiene. Anche Tommaso d’Aquino alla domanda se l’anima fosse composta di materia e di forma asserisce: L’anima non ha materia. L’anima è essa stessa “forma” di un corpo, ciò che lo rende persona. Perciò l’anima intellettiva è una forma assoluta, non già un composto di materia e di forma. Il concetto di corpo ed anima ad imago Dei, viene spiegato con chiarezza dalla Commissione Teologica Internazionale, n. 30. Per mantenere l’unità di corpo e anima insegnata nella rivelazione, il Magistero adotta la definizione dell’anima umana come forma substantialis (cfr. Concilio di Vienna e Quinto Concilio Lateranense). Qui il Magistero si è basato sull’antropologia tomistica che, attingendo alla filosofia di Aristotele, vede il corpo e l’anima come i principi materiali e spirituali di un singolo essere umano. E più avanti, n. 31: Queste indicazioni bibliche, dottrinali e filosofiche convergono nell’affermazione che la corporeità dell’uomo partecipa all’imago Dei. Se l’anima creata a immagine di Dio, forma la materia per costruire il corpo umano, allora la persona umana nel suo insieme è portatrice dell’immagine divina in una dimensione tanto spirituale quanto corporea. Anche il Concilio Vaticano II nella “Gaudium et Spes” affronta la costituzione dell’uomo: Unità di anima e di corpo, l’uomo sintetizza in sé, per la stessa sua condizione corporale, gli elementi del mondo materiale, così che questi attraverso di lui toccano il loro vertice e prendono voce per lodare in libertà il Creatore. Non è lecito dunque disprezzare la vita corporale dell’uomo. Anche Athos Turchi, docente di filosofia alla Facoltà Teologica dell’Italia Centrale, sostiene: “Quindi si esclude che Dio crei l’anima dal nulla e poi la ponga in un corpo preparato diversamente dai genitori, ma in ragione della unità sostanziale dell’essere umano la nascita di un uomo è una cooperazione tra Dio e i genitori associati nel produrre l’unico essere umano”. Mi piace aggiungere a questa parte dedicata all’anima una personale convinzione: che per affrontare seriamente questo argomento, come peraltro per molti altri, sia necessario far convivere scienza e fede. Ragione e fede devono ritrovarsi in modo nuovo come, nel settembre del 2006, spiegò molto bene Ratzinger a Monaco di Baviera, Altötting e Regensburg, per evitare i disastrosi contrasti del passato. E, per concludere, mi piace riportare la frase di apertura della lettera che il cardinale Carlo Maria Martini scrisse a Vito Mancuso in occasione della pubblicazione del suo libro “L’anima e il suo destino”: Carissimo Vito, hai avuto un bel coraggio a scrivere dell’anima, la cosa più eterea, più imprendibile che ci sia, tanto che si giunge a dubitare che essa esista. Eppure d’altra parte è la cosa più forte, perché è forte come la vita, come la capacità di tenere insieme questo organismo composto di miliardi di molecole che, se manca il principio ordinatore, incomincia a corrompersi ed entra nella morte. Solo credendo in questo, si può capire cos’è l’anima.
gianpaolo.diraimondo@fastwebnet.it Roma, 1° dicembre 2015 www.omelie.org/approfondimenti
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