"EMERGENZA IMMIGRATI”
COSA FA LA CARITAS
Ricordate, ricordate sempre, che tutti noi, e tu ed io in particolare,
discendiamo da immigrati.
(Franklin D. Roosevelt)
Di fronte alla tragedia di decine di migliaia di profughi che fuggono dalla morte per la guerra e per la fame, e sono in cammino verso una speranza di vita, il Vangelo ci chiama,
ci chiede, ad essere ‘prossimi’ dei più piccoli e abbandonati. A dare loro una
speranza concreta. Non soltanto dire: “Coraggio, pazienza!…”
(Papa Francesco)
L’immigrato, il diverso, il povero, in breve chi sta peggio di noi, non è stato mai gradito alla gran parte della comunità dei benpensanti. E ciò si è verificato costantemente nei secoli passati; chissà se il progresso e l’acculturamento delle nuove generazioni ha cambiato le cose o siamo ancora all’antico detto popolare pugliese: “Lu puarieddru e lu malatu nu lu ole lu incinatu – il povero e il malato non sono desiderati dal vicinato”. Io credo proprio che oggi viviamo una nuova stagione rispetto al passato nei riguardi dei bisognosi e lo dobbiamo, soprattutto, al volontariato e alle organizzazioni umanitarie che abbondano nel nostro paese. Infatti, ho sentito il bisogno di tornare sull’argomento “immigrazione” per parlare proprio della Caritas che è stata riportata all’attenzione delle cronache per il suo lavoro sulle più recenti emergenze relative all’immigrazione: vedi l’impegno prestato a Ventimiglia, nei vari centri di accoglienza disseminati sul territorio e nella tendopoli dei comuni di Rosarno e San Ferdinando in provincia di Reggio Calabria, per allentare le tensioni causate dal sovraffollamento e soprattutto dalla disattenzione delle Istituzioni. Mi piace, in questa sede, verificare l’opinione degli esperti della Caritas sul problema immigrazione in quanto, vivendo in prima linea, penso siano i più qualificati a giudicarlo evitando strumentalizzazioni e trovare le strade migliori per affrontarlo. Vediamo, per esempio, cosa scrive Oliviero Forti, responsabile dell’area immigrazione, sul fatto della discriminazione che l’Europa ha voluto instaurare tra le categorie delle persone che scappano dai paesi d’origine: “L’idea che l’Europa protegga solo alcune categorie di persone e altre no, a seconda della nazionalità, è discriminatorio e inaccettabile. Si creano così migranti di serie A e di serie B”. Queste parole non possono che confermare il mio pensiero, a volte anche scritto su questo sito, che i migranti che scappano dai luoghi d’origine per non morire - qualunque sia la causa dell’invivibilità - siano da trattare alla stessa stregua. Ed è compito delle Istituzioni internazionali provvedere per modificare adeguatamente, con interventi mirati, le situazioni di emergenza sociale di quei paesi, stabilizzando quelli in guerra, cercando di abbattere le povertà strutturali con investimenti che portino lavoro e porre rimedio alle mutazioni climatiche. Infatti, i due problemi che causano le migrazioni, oltre le guerre, sono la povertà di certi settori del mondo e le mutazioni climatiche. Al riguardo ecco cosa dice don Francesco Soddu, direttore della Caritas italiana: “La migrazione è un fenomeno fortemente interconnesso allo sfruttamento della terra ed alla proporzione diretta tra la povertà e penuria di cibo di alcuni e il ciclo produttivo del benessere-benavere di altri”. Secondo le Nazioni Unite, circa 25 mila persone muoiono di fame tutti i giorni, soprattutto bambini e anziani. E per eliminare la fame e la povertà indica come prioritario garantire la sovranità alimentare per ogni popolo, cioè garantire a tutti il diritto a un’alimentazione sufficiente e sana in tutti i paesi del mondo. Certamente se l’ONU, oltre che enunciarlo lo facesse applicare, darebbe un sensibile taglio alle migrazioni. In un altro documento delle Nazioni Unite si legge che mezzo miliardo di persone vive in regioni aride e 400 milioni vivono in territori di ormai scarsa qualità la cui produttività tende ad esaurirsi rapidamente. Ogni cinque anni si perdono 24 miliardi di tonnellate di superficie fertile. 5 miliardi di ettari usati in agricoltura si trovano in aree semi aride o vicino ai deserti, e di questi il 70% è già degradato o a forte rischio di desertificazione. I cambiamenti climatici, con l’impatto negativo sulla biodiversità e sulla produttività degli ecosistemi, la diffusione di malattie in nuova aree geografiche, l’aumento dell’aridità dei suoli, l’aumento dei livelli dei mari e l’alterazione della disponibilità di acqua e della sua qualità, minacciano numerose aree del nostro pianeta rendendole sempre più improduttive e inospitali. In conseguenza di tutto ciò, prosegue il documento ONU, milioni di persone saranno [in parte già lo sono ndr] costrette a migrare per cercare altrove spazi dove coltivare la terra e trovare le condizioni per una vita più dignitosa. Il documento conclude con la preoccupazione che queste migrazioni potrebbero causare tensioni e conflitti sociali per l’accesso alle risorse naturali. Anche molte organizzazioni umanitarie, tra cui la Caritas e la Fondazione Migrantes, promuovono e sostengono ricerche, studi e pubblicazioni in cui, oltre che denunciare il pericolo, propongono soluzioni. La Caritas da anni continua il suo impegno umanitario per modificare la vivibilità nei paesi di origine dei flussi migratori con la sua campagna “Diritto di rimanere nella propria terra”. Perché non si prendono questi piccoli esempi per avviare seri e massicci interventi di risanamento che potrebbero prevenire ed evitare le tensioni e i conflitti sociali paventati dalle Nazioni Unite? Certamente non è la soluzione giusta allestire mega-tendopoli dove ammassare i rifugiati! Non vorrei chiudere questo mio intervento senza trattare cosa si è fatto e si sta facendo per affrontare l’emergenza immigrazione creatasi nel nostro paese. Spostare, cioè l’attenzione dai problemi macroscopici della generazione della povertà a quelli emergenziali della quantità di profughi che accogliamo e anche alle migliaia di morti nel Mediterraneo. Purtroppo dobbiamo riconoscere che le azioni eseguite evidenziano molte criticità. La prima carenza lamentata da tutte le organizzazioni umanitarie, laiche e cattoliche, che operano negli interventi sui numerosi sbarchi sulle nostre coste, è rappresentata dal loro scarso e quasi nullo coinvolgimento da parte dello Stato nei tavoli decisionali delle operazioni da farsi. Ciò ha determinato difetti circa l’individuazione delle strutture ove ospitare i migranti (spesso fatta in modo frettoloso e poco concordata anche con le Istituzioni locali). La scelta – secondo la Caritas – è caduta su tipologie assai varie, con enormi differenze in termini di qualità dei servizi offerti alle persone; i costi di gestione sono stati enormi. Inoltre, la grande indecisione governativa circa lo status da attribuire ai profughi ha contribuito a determinare la lunga durata delle accoglienze, con pesanti ripercussioni sull’efficacia e la serenità delle stesse: in diversi contesti gli animi degli ospiti si sono surriscaldati a causa dell’assenza di prospettive per il futuro, creando non pochi problemi di ordine pubblico. In alcuni casi - aggiungo io, ma lo conferma la Magistratura - si è pure praticato lo sport nazionale del lucro indebito. Queste situazioni hanno creato gravi problemi anche alle organizzazioni di volontariato coinvolte nell’accoglienza. Ed è tutto dire! Le Istituzioni nazionali, invece di agevolare le attività volontarie e gratuite svolte a favore della collettività esclusivamente in termini umanitari, hanno creato loro molte difficoltà. A parziale giustificazione di tutto ciò bisogna dire che le direttive europee sul tema immigrazione stanno imponendo all’Italia una situazione talmente vincolante e difficile da gestire che può diventare scottante: A molti africani sub-sahariani viene dato il foglio di via appena sbarcati in Sicilia, facendoli cadere in una immediata situazione di irregolarità sul territorio italiano [e quindi vittime della criminalità ndr]. Così l’opinione pubblica rischia di percepire la presenza di migranti solo come irregolari. Anche questa è l’opinione di Oliviero Forti. L’ultima cosa da rilevare è l’inadeguatezza delle misure finora messe in atto per contrastare i barconi della morte che continuano a solcare il Mediterraneo: le migliaia di vittime innocenti lo pretendono! E le Istituzioni non possono far finta di niente. Occorre aprire finalmente canali sicuri e legali in Europa per evitare ulteriori perdite di vite in mare. In un comunicato congiunto al Governo italiano e all’Unione europea ecco cosa chiedono, Ai-bi, Amnesty International Italia, Caritas italiana, Centro Astalli, Fondazione Migrantes, Emergency, Intersos, Save de Children e Terre des Hommes: “E’ necessario garantire la protezione e la tutela dei diritti umani di rifugiati, migranti e richiedenti asilo che attraversano il Mediterraneo”. Speriamo che finalmente l’Europa ascolti questo accorato messaggio e agisca in modo coordinato per fermare le morti in questo mare nostrum. Più in generale e più drammatico è il contenuto del recente rapporto annuale UNICEF “La Condizione dell’Infanzia nel Mondo – La giusta opportunità per ogni bambino” pubblicato il 28 giugno 2016: Se il mondo non si concentrerà sulla drammatica situazione dei bambini più svantaggiati, entro il 2030 (data conclusiva degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile) 69 milioni di bambini sotto i 5 anni moriranno per cause prevalentemente prevenibili, 167 milioni di bambini vivranno in povertà, 750 milioni di donne si saranno sposate da bambine e oltre 60 milioni di bambini in età da scuola primaria saranno esclusi dalla scuola. Con queste notizie, si può ancora far finta di niente, dire “Coraggio, pazienza!” e dormire tranquilli la notte?
Roma, 1° luglio 2016 Gian Paolo Di Raimondo
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