* “ Egli ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l’immortalità per mezzo del vangelo ”: queste parole di Paolo a Timoteo, con cui si chiude il brano che nella II domenica di quaresima
fa da seconda lettura, possono aiutarci a comprendere il senso del racconto della Trasfigurazione del Signore sul monte Tabor, nella pagina evangelica che ascolteremo subito dopo. Tutti i simboli delle epifanie del primo
testamento, la nube luminosa, la voce dal cielo, l’ombra che si stende sulla vita degli uomini, sono richiamati in questo racconto e riferiti alla persona di Gesù, per dire come in lui, per mezzo di lui, Dio si stia
definitivamente e pienamente rivelando, si stia facendo vicino, stia realizzando le sue antiche promesse di una presenza piena, ultima, invincibile, all’interno della storia degli uomini. E’ in Gesù che la vita e l’immortalità
di Dio risplendono definitivamente. Egli è Colui nel quale la legge di Mosè e la profezia di Elia vengono compiute, realizzate, colui nel quale si instaura quel regno messianico per la cui inaugurazione Israele attendeva
di nuovo la venuta di Elia e Mosè (dice un testo rabbinico: “ Dio disse a Mosè: quando manderò il profeta Elia, te pure manderò, perché voi dovete venire entrambi ”). Contempliamo oggi il mistero di Gesù, la cui umanità, la
normale umanità - quella che era fatta di intelligenza che pensava e riusciva a dare da pensare, e di una bocca per pronunciare le parole che hanno affascinato Pietro, Giacomo e Giovanni e ne hanno fatto il loro maestro, quella
che era fatta di piedi per salire un monte e per scendervi di nuovo per tornare tra le case della gente, e di un cuore per pregare il suo Dio - quella concreta umanità, è abitata da una luce profonda, da un mistero più grande di
essa, e questo mistero ci chiede di guardare a quest’uomo come ad un vaso colmo della gloria di Dio.
* Questo mistero di rivelazione e vicinanza, secondo le parole di Paolo, sembrerebbe però non essersi compiuto se non quando “ egli ha vinto la morte ”,
e cioè nella Pasqua di morte e resurrezione del Signore, di cui la trasfigurazione sul Tabor è profezia e preludio. La notte dopo il sabato, che sul Tabor è intravista dalla fede, è richiamata dalle stesse parole di Gesù, che
chiede di tacere la visione “ finché il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti ”. Ma se Gesù è colui la cui realtà è la gloria di Dio, il mistero della Trasfigurazione ci impedisce di credere che questa gloria sia
divenuta sua solo dopo la sua Pasqua. Gesù è la pienezza della vita e dell’immortalità sin da subito: ecco ciò che lo trasfigura, ciò che è possibile intravedere sul Tabor. Alla nostra fede, dunque, è posta una domanda radicale:
se lui ha la gloria, anzi se Gesù è la gloria di Dio, e questo sin dall’inizio, perché dopo c’è la croce? Perché dovremo guardarlo crocifisso e sepolto? Dove sarà la gloria di Dio mentre Gesù sarà rinchiuso in un cortile per
essere torturato? Mentre sanguinerà e gli sputeranno addosso? Dove saranno Mosè ed Elia mentre, sulla croce, a fianco di lui rimarranno solo due ladri condannati a morte e maledetti dalla legge? Dove sarà la luce della
Trasfigurazione mentre Gesù sarà deposto nel buio, quando le mani amiche di Giuseppe d’Arimatea chiuderanno con la pietra il sepolcro nuovo che avrà saputo mettere a disposizione del maestro morto?
* Noi siamo tentati di rispondere: dopo! La luce sarebbe venuta dopo! Dopo la sofferenza. Dopo tre giorni sarebbe cambiato tutto, e quella luce che il Tabor ci ha fatto intravedere
sarebbe ricomparsa nella pienezza della resurrezione. Ma proprio la Trasfigurazione ci impedisce di pensare così: se Gesù possedeva già la gloria di Dio, ne era la personificazione, vuol dire che non è possibile pensare a un
prima e a un dopo, ad un prima di sofferenza e umiliazione e a un dopo di gloria e di vita. Deve esserci un’altra risposta. Il cammino di Gesù, infatti, di Gesù, non è stato diverso da quello del suo popolo, tanti secoli prima,
e di ogni cammino credente, a partire dal cammino di Abramo ricordato nella I lettura: nella sua oscurità, nella sua asprezza, quando Abramo parte vive il momento più esaltante della sua fede! Il massimo della sua comunione con
Dio, della sua fiducia in lui, è sin dall’inizio, da subito. E così fu per tutto il popolo: con tutto il pane che sarebbe mancato e la sete che lo avrebbe tentato di non credere più in Dio e in Mosè, quella partenza dall’Egitto,
inizio di un cammino sporco e sofferente, è stata il momento più glorioso del popolo di Dio, è stata quella – in qualche modo - la terra promessa! La realizzazione della promessa coincideva con il cammino che iniziava, quella
partenza intrapresa nella speranza e nella fiducia nella voce udita dal cielo. Una fede che lo ha fatto camminare verso il proprio destino con forza e audacia: ecco il momento più bello della storia di Abramo. La sua gloria è
stata partire senza sapere dove andava. E’ stata fare del cielo - quello che la voce di Dio lo aveva invitato a guardare per contare le stelle - la sua casa, nelle carovane del deserto che spesso lo han fatto dormire all’aperto.
* Così è stato per Gesù: egli ha iniziato il suo cammino, e per tutta la sua durata, sin dal suo inizio, tutto è stato gloria, anche nei momenti difficili e duri. Lì, in anni lunghi,
quelli del silenzio e quelli delle parole, quelli di Nazaret e quelli senza una pietra dove posare il capo, in una esistenza per gli altri, lì c’é la gloria di Dio. Anche nelle ore della passione: in un uomo che malgrado i suoi
discepoli lo avessero tradito lui non li ha traditi, e anzi li ha cercati di nuovo, dopo, per radunarli e donare loro il suo Spirito, lì c’é la gloria. Lì, in una persona che non solo ha perdonato chi gli stava togliendo la
vita, ma lo ha anche scusato perché non sapeva ciò che stava facendo, lì c’è la gloria. Non solo dopo, come se prima avesse dovuto pagare un prezzo per poter arrivare poi al premio, al superamento. E’ insuperabile l’amore con
cui Gesù è morto, è glorioso, è per sempre, Gesù è resuscitato con le piaghe e i fori dei chiodi, cioè con i segni della crocifissione, il cui valore è infinito perché infinita è la gloria di Dio che quella morte è.
* “E’ bello”, dice Pietro a Gesù. E’ bello, aveva detto Dio mentre la donna e l’uomo uscivano dalle sue mani plasmati di fango e di Spirito Santo. E’ bello Adamo, è bella Eva, sono
belli della bellezza della vita divina di cui è impastato ogni essere umano. Sempre, non solo dopo, quando è arrivato alla conversione, ma anche prima. C’è una bellezza della meta, e una bellezza dell’inizio. Una bellezza del
riposo e una della fatica, quando è fatica che sopporti per raggiungere, e vivere fino in fondo, ciò che credi e ami. C’è una bellezza che ti appartiene quando sei all’inizio, e sei un bambino innocente e pulito dalle mani di
tua madre, e c’è una bellezza più sporca ma più vera quando sei adulto, e malgrado tutto quanto la vita ti abbia fatto fare non è riuscita a cancellare quella bellezza primitiva che ti appartiene in quanto Adamo di Dio.
Trasfigurare la nostra vita, partecipare a questa luce, allora, non è solo cosa che riguarda il nostro corpo alla fine, dopo la nostra morte, quando anche noi saremo strappati dal nostro sepolcro, ma è realtà già oggi. Ogni
volta che viviamo come hanno vissuto Abramo e Gesù. Chi ascolta la voce del vangelo che risuona ancora e sempre, dopo la Pasqua del Signore, fa ciò che Abramo già fece quando percepì il suono della voce divina: parte. “ Allora
Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore ”. Quale è dunque una vita trasfigurata? La vigilanza e l’essenzialità asciutta della quaresima ci aiutano a non dimenticare che un’esistenza trasfigurata dalla fede è quella
che obbedisce, e per obbedire sa partire lasciando la propria patria sulla parola del Signore. “ In te si diranno benedette tutte le famiglie della terra ”: in chi trova la forza di compiere il santo viaggio della fede -
amando più la voce di Dio che risuona nel vangelo di tutte le proprie realizzazioni e acquisizioni, di tutte le patrie dove ha trovato casa - continua a compiersi e si prolunga la benedizione di Dio. Trasfigurata è una vita
vissuta come una partenza: un cammino, una strada che va vissuta con passione, con amore, con gli occhi aperti sui compagni di cammino, con la forza di attraversarne i punti più rischiosi, quando sei esposto ai fraintendimenti e
al peccato, tuo e degli altri, che rischia di farti fermare. E ti guardi, e devi trovare in te stesso, e nella contemplazione del volto luminoso di Cristo, la forza di ricominciare, di rialzare il tuo piede, anche se ti è
pesantissimo. Una partenza continua, con la fede forte nel fatto che il Signore non smette di interessarsi al tuo cammino, persino quando tu stesso ti sei stancato di interessarti a te stesso, e che non ti farà mai venir meno.
Cammini, per mesi, e per anni, e ti rendi conto che non è dopo che sarai premiato: è proprio quel cammino il premio, lo scopo era camminare, la gloria era nella quotidianità vissuta per amore, a volte un amore facile e a volte
difficile. La resurrezione, la vittoria, è lì. Gesù in alto, con a destra Mosè e a sinistra Elia, in trasparenza è Gesù in alto, sul monte Golgota, con a destra e a sinistra due ladri condannati a morte. Con Mosè ed Elia
parlava, e con i due ladroni parla. Con Pietro, Giacomo e Giovanni ha pazienza, e ricomincia a parlare, sul Tabor, anche se non hanno compreso. E con i discepoli scappati di nuovo, nel momento della morte, parla, li cerca, se li
va a riprendere sulla strada di Emmaus.
Ma che cosa stiamo vedendo, in questa seconda domenica di quaresima? Dove siamo? In quaresima, durante il cammino? O a Pasqua, giunti ormai alla meta? Sul Tabor, con Mosè ed Elia? O sul Golgota, insieme a due briganti?