«O Chiave di Davide, scettro della casa d’Israele, che apri, e nessuno può chiudere, chiudi e nessuno può aprire: vieni, libera l’uomo prigioniero, che giace nelle tenebre e nell’ombra di morte».
È questa una delle antifone maggiori dell'Avvento (o anche antifone O, perché cominciano tutte con il vocativo «O»), sette antifone latine proprie della Liturgia delle Ore secondo il rito romano. Vengono cantate come antifone del Magnificat nei vespri e come versetto alleluiatico del Vangelo nella Messa delle ferie maggiori dell'Avvento, dal 17 al 23 dicembre.
Cristo viene identificato e personificato oggi con la chiave di Davide evocata nella prima lettura, dal profeta Isaia, nel suo oracolo contro Sebna e la sua sostituzione con Eliakim (Is 22, 22).
La chiave è segno di autorità e di comando: aprire e chiudere non appartiene a chiunque, ma è compito di qualcuno in particolare. Gesù ha le chiavi della morte (Ap 1,18) ed è l’unica via di accesso al Padre (Gv 14,6). La chiave indica anche il potere della conoscenza (Lc 11,52).
Le case e gli edifici ebraici erano provvisti di porte che si aprivano con la chiave di metallo o di legno con delle punte di ferro. I leviti con la chiave aprivano e chiudevano la porta del Tempio. La chiave era necessaria alla porta che immetteva nella città e costituiva il centro della vita sociale.
La chiave, proprio perché permette a chi la possiede di entrare e uscire, è quindi simbolo di autorità su una città, un regno, una casa.
Nella prima lettura si dice che Dio porrà sulla spalla del suo servo Eliakim una chiave; questo fa supporre che fosse pesante, ma la pesantezza può essere interpretata anche in senso simbolico, come segno di una grande responsabilità.
Dio, inoltre, toglie la chiave dalle mani di Sebna e fa una cosa nuova: la consegna ad un altro.
San Paolo sostiene che il rifiuto di Israele, nell’aprire con la chiave la porta della salvezza per tutti i popoli, non rappresenta il venir meno – neppure parziale – del piano di Dio, perché Dio sa servirsi del male della storia per farne uscire un bene ancor maggiore, per cui questo stesso rifiuto, «l’indurimento» di Israele, ha un senso provvidenziale (Rm 11, 11-12).
Notiamo come Eliakum riceve il potere di aprire e chiudere: «se egli apre, nessuno chiuderà; se egli chiude, nessuno potrà aprire». Questa facoltà di aprire e chiudere in modo definitivo, trova il suo parallelo e la sua realizzazione piena nel Vangelo odierno, dove Gesù parla del potere di Pietro di sciogliere e legare.
È un potere che il Signore ha concesso alla Chiesa. Circa il senso di queste due espressioni possiamo dire che per i rabbini ebrei il termine «legare» significava dichiarare una cosa illecita o illegale, al contrario il termine «sciogliere» significava dichiararla lecita o legale.
La prima lettura parla, quindi di Cristo, prefigurato in Eliakim, scelto da Dio per aprire le porte della morte per tutti gli uomini, Cristo che ha portato la chiave della salvezza, cioè la croce, sulla spalla, Cristo che ha autorità somma sull’umanità ed è «un padre per gli abitanti di Gerusalemme e per il casato di Giuda» e «un trono di gloria per la casa di suo padre».
Davanti a questo progetto di Dio si resta stupiti, a bocca aperta.
S. Paolo, nella seconda lettura, proprio dopo aver parlato del passaggio della «chiave» della salvezza da Israele alla Chiesa, esclama: «O profondità della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio! Quanto insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie! Infatti, chi mai ha conosciuto il pensiero del Signore? O chi mai è stato suo consigliere? O chi gli ha dato qualcosa per primo tanto da riceverne il contraccambio?».
Cristo, nuovo ed eterno Clavigero dell’umanità, è il primo e l’ultimo, il principio e la fine, l’alfa e l’omega.
La seconda lettura si conclude con le parole: «da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose».
Nel Vangelo odierno Cristo attribuisce a Pietro il compito di clavigero (Mt 16, 19).
La chiave, intesa come il potere che la morte pretendeva di avere, appartiene a Cristo che lo trasmette a Pietro. E come l’angelo ha la chiave dell’abisso, incatena il Drago, il serpente antico, Satana, e lo rinchiude nell’abisso (Ap 9,1; 20,1), così Pietro riceve da Cristo l’autorità in cielo, in terra e negli inferi.
Gesù dona a Pietro «il potere delle chiavi» che non coincide però con particolari forme di dominio.
Sono chiavi speciali collegate al regno dei cieli: «A te darò le chiavi del regno dei cieli» (Mt 16,19) che allude alla Chiesa. Il «potere delle chiavi» è collegato alla metafora cui abbiamo accennato, del legare e sciogliere, e secondo la mentalità ebraica, potrebbe connettere il legare al proibire e lo sciogliere al permettere.
Ma le chiavi che Gesù dona a Pietro, di fatto, hanno un orizzonte diverso e più ampio: lo investono della responsabilità di custodire e amministrare i beni preziosi delle realtà salvifiche. Al contrario dei rabbini, rimproverati da Gesù (cfr. Mt 23,13), le chiavi date a Pietro devono permettere a tutti l’ingresso nel Regno di Dio e, per tale ragione, il «potere delle chiavi» richiama l’autorità come servizio alla vera conoscenza di Dio e alla comunione ecclesiale.