COMMENTO ALLE LETTURE

Nella grande assemblea di Sichem, convocata da Giosuè dopo il passaggio del fiume Giordano e l’arrivo sulla terra promessa, gli israeliti sono posti di fronte alla scelta su quale dio “servire”, che vuol dire a quale dio legarsi, con quale dio entrare in comunione di vita: il Signore o le divinità delle altre popolazioni? Israele sceglie il Signore perché lo conosce come suo liberatore, ricorda i segni che ha compiuto in suo favore e come lo ha custodito nel lungo cammino del deserto. La prima lettura ci mette davanti ad un tema che ritroviamo nel Vangelo, quello della decisione della fede e dell’appartenenza che ne deriva: «egli è il nostro Dio».

San Paolo guarda al mistero grande dell’amore di Cristo e della Chiesa come il vero orizzonte nel quale deve specchiarsi l’amore coniugale. L’amore di Cristo Sposo è tale che Egli «ha dato sé stesso per lei, per renderla santa, purificandola con il lavacro dell’acqua mediante la parola, e per presentare a sé stesso la Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata». Cristo si è dato tutto perché la Chiesa Sposa fosse bella, purificata al fine di poter essere con Lui e in Lui. È l’alleanza nuziale di Dio con il suo popolo che trova il pieno compimento nell’Eucaristia: Cristo si offre per e alla sua Sposa con il dono di tutto sé stesso, “corpo spezzato e sangue versato”, dono della totalità di sé per divenire una sola carne, un solo corpo.

Con la preparazione offerta dalle letture arriviamo al Vangelo. Siamo alla conclusione del discorso sul pane di vita nel IV Vangelo. Le folle cercano Gesù a seguito del miracolo della moltiplicazione dei pani perché hanno visto che ha il potere di sfamarle. In realtà Gesù ha compiuto un segno che rivela con quale abbondanza Dio vuol dare vita. Il discorso sul pane in Gv 6, 24-58 si snoda in tre passi (li abbiamo ascoltati scanditi nelle ultime tre domeniche) che è utile ricordare per capire il testo odierno.

Innanzitutto Gesù porta a distinguere fra cibo vero o non vero, cibo che dura o che non dura in relazione alla vita eterna. Quello vero è il “pane del cielo” che viene da Dio e Gesù fa intendere che Lui solo può darlo in quanto prescelto dal Padre. È necessaria la fede. Gli interlocutori non hanno eccessiva difficoltà ad acconsentire «Signore dacci sempre questo pane». A questa richiesta Gesù risponde in modo sorprendente «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete, mai!».

Immaginiamo la reazione che si scatena tra i Giudei: tu saresti il pane disceso dal cielo? Ma se sei il figlio di Giuseppe e conosciamo la tua famiglia! Ma chi credi o pretendi di essere? Gesù continua a parlare del suo rapporto con il Padre, del legame tra fede e vita eterna, del fatto che il vero pane disceso del cielo non è stata la manna ma è Lui. E aggiunge un’affermazione ancora più ardua e spiazzante della precedente: «Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Qui il discorso si fa addirittura urticante, anche perché il linguaggio è crudamente realista: il verbo “mangiare” è letteralmente il masticare e la “carne” è proprio l’essere umano nella sua fragilità. E poi c’è anche il sangue! Non c’è alcuna possibilità di interpretazioni vaghe e spiritualizzanti, Gesù parla della sua persona.

La discussione fra gli ascoltatori sale ancora di tono «come può darci costui la sua carne da mangiare?». In risposta il discorso di Gesù diventa categorico: «se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita.  Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno…. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.  Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui.  Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me...Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

Mangiare e bere di Lui è la condizione per avere la vita eterna fin da ora e la risurrezione nel futuro. Gli ascoltatori sono messi davanti alla decisione: credere a quanto Gesù dice o no? Rifiutare o accettare di farsi coinvolgere nel modo che ha prospettato? Dobbiamo capire che Gesù non sta facendo un bel discorso informativo ma sta chiamando i discepoli ad una relazione personale con Lui impensabile e imprevista, chiede di essere mangiato, di diventare cibo per trasfondere e innestare nel discepolo/in me la sua vita, in una unione che lascia senza parole.

Tutto questo c’è prima del brano di oggi, che inizia riportando le mormorazioni di “molti discepoli”: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?».

Sì, è dura da comprendere e accettare, è esigente. Ci vuole uno sguardo che vada oltre e allora Gesù apre ancora gli orizzonti e fa riferimento al Figlio dell’uomo che vedranno salire dove era prima e allo Spirito datore di vita, in contrapposizione ad una carne (mortale) che non giova a nulla. Se lo vedranno salire (al Cielo) vuol dire che salirà presso Dio una carne vivificata per l’opera dello Spirito datore di vita. La sua carne/la sua persona che offre come nutrimento sarà vivente, eterna, gloriosa (si capirà dopo la Pasqua).

Tutte queste parole che Gesù ha detto «sono spirito e sono vita», possono essere accolte solo nella fede. L’evangelista nota che molti dei “suoi” discepoli lo abbandonano. Restano i Dodici. E Gesù fa la sua domanda, che ci arriva come sincera e disarmata, senza nessuna pretesa di costrizione: «Volete andarvene anche voi?». Risponde Pietro per tutti «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio». Certo, da chi andare? Dove trovare parole di vita vera? Tu solo le hai perché Tu solo sei la Parola di vita eterna, quella pronunciata e donata a noi dal Padre. Pietro mette in ordine il credere e il conoscere: la fede è quella forma di conoscenza che ci permette di approcciare ciò che la ragione non può cogliere da sola, di slanciarci e aderire in modo intuitivo e affettivo a Dio.

Il discorso di Gesù sul pane di vita è molto provocante. Ci interpella sul nostro rapporto con l’Eucaristia (perché la riceviamo? Gesù rileva che alcuni non credono: siamo noi?), sul nostro reale bisogno di vita eterna, sui nostri tentativi illusori per ottenerla.

Ci siamo mai messi davanti a questo discorso del Signore sul pane di vita come veri interlocutori? Sicuramente il linguaggio è in chiaroscuro, non facile, ma ce ne sarebbe uno esaustivo per dire queste cose divine? Non ci vuole piuttosto un desiderio - e di conseguenza una volontà - di com-prenderle in noi stessi, di interrogarle mille volte attendendo che si svelino pian piano, di custodirle e ricordarle quando partecipiamo all’Eucaristia?

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