COMMENTO ALLE LETTURE

Nel rito del battesimo dei bambini, subito dopo aver consegnato a uno dei padrini la candela accesa, simbolo della luce di Cristo, il sacerdote compie un rito significativo e, sotto certi aspetti, pieno di tenerezza.
Tocca con il pollice le orecchie e le labbra del piccolo battezzato e dice: “Il Signore Gesù, che fece udire i sordi e parlare i muti, ti conceda di ascoltare presto la sua parola, e di professare la tua fede, a lode e gloria di Dio Padre. Amen!”.
È un po’ come se Gesù toccasse i sensi del piccolo e gli conferisse una nuova capacità di ascolto e di parola, che non è solo fisica, ma anche spirituale.
In quel momento Gesù, attraverso il sacerdote, compie un miracolo; quello descritto nel Vangelo odierno.

In quest’ottica i Padri della Chiesa hanno interpretato l’episodio della guarigione del sordomuto: si è trattato di una guarigione fisica prodigiosa, un vero miracolo che tutti hanno potuto vedere, ma oltre all’aspetto fisico – il recupero dell’udito e della parola – hanno sottolineato sempre l’aspetto spirituale, cioè l’incontro con la potenza salvifica di Gesù, la possibilità di ascoltare la sua Parola, di testimoniare con gioia a tutti – con la voce – la sua divinità. Il miracolo comporta anche un aspetto psicologico e relazionale meraviglioso: la capacità rinnovata di entrare in rapporto con gli altri, attraverso la possibilità di dialogare e ascoltare.

Sempre, nei miracoli di Gesù, sono presenti queste due dimensioni, che potremmo definire fisica e spirituale, umana e divina, naturale e soprannaturale. In quest’ottica la lebbra non è solo una grave malattia del corpo, ma anche immagine del peccato, che ci impedisce di stare con gli altri nel modo giusto, ci isola e ci rende lontani; le perdite di sangue, oltre a una grave patologia, sono anche uno stigma sociale, un senso di impurità rituale, qualcosa che fa sentire esclusi dalla comunione con gli altri; l’epilessia, oltre che una malattia che colpisce il sistema nervoso centrale, è anche un percorso di insicurezza, isolamento, adombrato da aspetti superstiziosi discriminatori.

Gesù libera la persona in tutte le sue dimensioni: fisica, spirituale, psicologica, sociale.
Dopo il miracolo le persone non sono solo guarite da una malattia, ma ripristinate in un rapporto nuovo con se stessi, con gli altri e con Dio.

Il miracolo diventa così immagine di qualcosa che supera la dimensione fisica: è un preannuncio del Regno di Dio, un’anteprima della condizione rigenerata dell’uomo e della donna, una primizia della creazione nuova, inaugurata da Cristo. Esso ci dice che il Regno di Dio è in mezzo a noi, che possiamo guardare avanti con fiducia al futuro dell’umanità, che Dio guida la storia umana e la signoria di Gesù sul mondo creato è reale.

La profezia di Isaia nella prima lettura (“Si schiuderanno gli orecchi dei sordi, griderà di gioia la lingua del muto”) trova la sua realizzazione nelle parole, nei gesti, nell’umanità di Gesù.

Nel Nuovo Testamento l’iniziazione alla fede è descritta a più riprese come una vera guarigione, dalla sordità e dal mutismo.
Essere battezzati significa recuperare l’udito e la parola.
Tutti noi, che siamo stati rigenerati in Cristo, eravamo in certo modo sordomuti e siamo stati toccati dalla grazia di Cristo, per vivere una vita nuova.

Del miracolo ascoltato nel Vangelo odierno sottolineiamo tre aspetti, che ci possono essere utili, quando ci accostiamo a Gesù.

“Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano”.
Ma Gesù non gli impone la mano.
Fa sei cose inaspettate: lo porta in disparte, gli mette le dita nelle orecchie, gli tocca la lingua con la propria saliva, guarda al cielo, emette un sospiro, pronuncia la parola aramaica Effata.
Queste cose, in sequenza, non le aveva mai fatte prima. Sono sei cose molto umane: contatto fisico, saliva, alito, parola.

Chi si aspettava la ripetizione di una routine già vista, quasi schematica, rimane sorpreso. Avviene qualcosa di nuovo. Contrariamente a Naaman il Siro, che si aspettava anche lui di essere miracolato con un rito pre-confezionato standard (secondo la propria logica) e per questo rischiava di perdere l’occasione, questo sordomuto accetta tutto e, soprattutto, crede in Gesù.

La fede rende efficaci i gesti più umani, anche quelli meno aspettati e più strani o sorprendenti.

Gesù è appena uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, viene verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. Sono viaggi lunghi e faticosi. Sono percorsi pieni di incontri e di attività. La gente lo cerca ovunque: vuole ascoltarlo, essere toccata da lui. Per pregare è costretto ad alzarsi la mattina presto o trascorrere la notte sul monte.

Ma, nonostante questo, è sempre disponibile.

Ciò che lo muove, e rende possibile i miracoli, è la sua compassione verso le persone che incontra.

Lo sguardo di Gesù è sempre mosso dalla compassione, cioè dalla “passione con”, la sensibilità di soffrire insieme, di essere partecipi delle gioie e dei dolori degli altri.

Gesù comanda di non dire a nessuno ciò che è accaduto, ma più egli lo proibisce, più le persone lo proclamano in giro, ovviamente.
Ma perché Gesù fa sempre questa raccomandazione inutile?
È il segreto messianico, presente anche in Matteo e Luca, ma tipico del vangelo di Marco. È un tratto storico della vicenda di Gesù: Egli non poteva permettere che si parlasse di Lui come Messia, equivocando. Voleva apparire un Messia diverso, e per togliere ogni equivoco bisognava aspettare la Croce. Marco esprime la volontà di Gesù di andare verso la croce, di non cedere alla tentazione di fare subito il Messia vittorioso. Nello stesso tempo mostra come Gesù fosse profondamente incompreso, solitario: nessuno capiva l'originalità del suo messianismo, la croce appunto: tutti lo proclamavano e lo volevano Messia vittorioso, politico. Se Gesù avesse lasciato che la sua gloria apparisse, se avesse permesso che le folle manifestassero il loro entusiasmo, che i demoni gridassero il loro servile omaggio, che gli apostoli divulgassero la loro scoperta, la croce sarebbe stata impossibile, e Gesù sarebbe finito nel trionfo, però un trionfo umano, estraneo al piano di salvezza.

Gesù guarda già verso la sua croce,
In modo deciso, determinato.
È una croce gloriosa.
Una croce che guarisce.

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