Nei pellegrinaggi in Terra Santa, la salita sul Tabor – che la tradizione vuole essere il monte della Trasfigurazione – si percorre su una strada serpeggiante che dai fianchi porta in vetta, riempiendo gli occhi e il cuore di una profonda emozione. Per la sua forma, per le sue caratteristiche, per la vegetazione, per lo splendore del panorama, il Tabor è una montagna unica. Visto dal basso, questo monte, pur solo di 558 metri, appare veramente maestoso. Lì si capisce che Gesù ha chiesto ai discepoli un cammino insolito, una fiducia che prevedeva una fatica per chi era abituato al lago e alla pesca.
Qui Gesù appare trasfigurato. Qui Egli ha scelto di manifestare la sua gloria, a tal punto da suscitare lo stupore e la gioia di Pietro e degli altri: “Maestro, è bello per noi stare qui”. Marco, nel testo greco, usa la parola metamorfosi. Gesù ha subìto una metamorfosi: è ancora lui, ma è diverso da prima. Una luce interiore attraversa il suo corpo così intensamente che anche le vesti appaiono luminose. L’evangelista è l’unico che, a differenza degli altri, annota che le sue vesti divennero splendenti, bianchissime, a tal punto che nessun lavandaio di questa terra potrebbe renderle così bianche.
Il tutto avviene alla presenza di Mosè ed Elia: il primo ha potuto avvicinarsi al mistero di Dio avvolto nel roveto ardente e il secondo è stato rapito da Dio in un carro di fuoco. Entrambi hanno vissuto prove grandi, momenti di crisi, ma sono stati ponti tra Cielo e terra, per riavvicinare il popolo al Signore. Anche in mezzo alle tempeste, sono stati profeti di alleanza, profeti della Luce.
Perché la liturgia ci propone questo testo, come seconda tappa domenicale del cammino quaresimale? Perché sul Tabor si rinnova un’alleanza tra Dio e il suo popolo, con la nube dello Spirito e la voce del Padre che dice: “Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!... È il mio Figlio… vedete, è trasfigurato, è Luce, è Amore… ma tra poco tempo lo vedrete sfigurato, nel buio, su un’altra altura. Qui ascoltate la mia Voce, lì ci sarà il mio silenzio… Qui in mezzo ai profeti, lì in mezzo ai ladroni”.
L’ora di Luce del Tabor anticipa l’ora di buio del Calvario, per preparare i discepoli (anche se rimarranno lo stesso impreparati) allo scandalo della croce, dove non ci sarà più un volto glorioso, ma sofferente, nell’attesa di quella luce che avrebbero presto riconosciuta sul suo volto di Risorto. Ai tre discepoli viene concesso di vivere un momento singolare di cui qualche riflesso si può osservare sul volto degli innamorati quando una felicità inesprimibile invade il loro cuore. Essi vivono pochi istanti di infinita Gioia, per essere un giorno consapevoli che al dolore e alla morte saranno concessi pochi istanti, mentre la Gioia della Resurrezione saprà di eternità.
Per noi è importante richiamare quello che Marco ci dice all’inizio. Gesù “prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò sopra un monte alto, in disparte, loro soli”.
Gesù li ha sottratti alla pianura e li ha portati in alto, lontani dal mondo abituale. La pianura è immagine della vita ripetitiva, appesantita dalle consuetudini, offuscata dalle convenzioni. La pianura è immagine della nostra vita, quando ci capita di passare accanto alle persone senza intuire la loro verità interiore. Siamo tentati, in pianura, di cosificare le persone, di ridurre cioè anche i volti a cose, a maschere inespressive. I nostri passi in pianura sollevano troppa polvere perché si possano distinguere i veri lineamenti di un volto. Per questo è necessario ogni tanto uscire dalla pianura e guadagnare l’aria delle altezze, della solitudine, del silenzio, là dove è più facile “toccare il cielo”. Quando si gioisce di un particolare rapporto con Dio, le pesantezze, le ombre, le oscurità cedono alla Luce. Non che siano cancellate, ma sono trasfigurate.
Allora può capitare che quel volto, che prima ti eri abituato a vedere senza alcuna emozione e stupore, si trasfiguri davanti a te, si illumini di una luce particolare, lasci trapelare una verità segreta che prima non avevi sospettato. È un’esperienza meravigliosa che, come penso, sia concessa a tutti: quella di incontrare volti limpidi, veri, non per una emozione superficiale, ma per un segreto custodito nel profondo che disegna su quei volti tratti di straordinaria pace.
Di questa esperienza parla un amico della poetessa ebrea tedesca Nelly Sachs, premio Nobel per la letteratura, scrivendole in una lettera queste bellissime espressioni: “Ricordi ancora quando abbiamo parlato di Dio per la seconda volta, a casa nostra, del tuo Dio, il Dio che ti attende. Ricordi che c’era il riflesso dorato sulla parete? Sei tu, è la tua vicinanza che permette di vedere il riflesso”.
La trasfigurazione dei volti ha una ragione segreta che si potrebbe definire una sorta di innamoramento rivolto non tanto a una persona, ma a qualcosa di più grande, a tutto ciò che di bello, di puro, di alto può essere racchiuso nella parola di Dio. Questo ci aiuta a capire meglio l’evento narrato nel brano del vangelo di oggi. Chi ha una vita trasfigurata è capace di trasfigurare quella degli altri. E, anche scendendo dal monte, possiamo mantenere quella Luce che illumina le nostre oscurità.
È l’esperienza di Abramo, a cui è chiesto qualcosa di paradossale, il sacrificio del figlio che Dio stesso gli aveva donato. Anche Abramo sale sul monte, cresce nella fede come abbandono a Dio, comprende che aveva sostituito Dio con il figlio e che amava più Isacco del Signore. Viene fermato prima del sacrificio e sperimenta che il suo immenso dolore è stato trasformato in gioia eterna. Ora può finalmente riguardare le stelle e aprirsi all’immensità di un Dio che non risparmierà suo figlio, consegnandolo per tutti noi e donandoci ogni cosa insieme a lui.
Il monte del “legamento di Isacco” e il Tabor diventano allora luoghi del cuore che lasciano in noi una suggestione di bellezza e una nostalgia grande per tutti i momenti di trasfigurazione che ci sono donati; la stessa nostalgia che faceva ancora vibrare il cuore di Pietro nel ricordare la voce del Padre “che noi abbiamo udita scendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte” (2 Pt 1,18).
Signore, concedi anche a noi di essere, nei confronti degli altri, donatori di un volto luminoso, trasfigurato dalla gioia di sentirci amati da Te come figli.